MUSSOLINI: CAMERATA VOTA PURE DUE VOLTE di Oreste Del BuonoGiorgio Boatti

MUSSOLINI: CAMERATA VOTA PURE DUE VOLTE MUSSOLINI: CAMERATA VOTA PURE DUE VOLTE Idee (dimenticate) per una nuova legge elettorale WjjÈà "iUP1 NA testa, un voto»: il principio è apparentemente assai semplice ma la storia insegna come possa essere infranto e calpestato. Principalmente in due modi. Il primo modo punta alla testa: facendola oggetto di bombardamenti propagandistici, di pressioni, di gesti di intimidazione. Sino a giungere anche a staccarla dal collo del legittiH mo proprietario se continua capar- IjgBt I blamente a non voler abbandonare ^EMl le opinioni da bastian contrario ^^•^fcJB»»»*»^^ alle quali è affezionato. Il secondo modo di attaccare questo principio è di operare sui meccanismi del voto. Vanificando, o modificando profondamente, il suo essere un diritto - scontato in ogni moderna democrazia - attribuito egualitariamente a tutti i cittadini. Su questo tema un assalto Insidioso ma al tempo stesso didascalicamente trasparente viene scatenato con la proposta, avanzata da Mussolini sul finire del 1924, del «voto plurimo», Il fascismo, sin dai primi anni di scalata al potere, ha già modo di sperimentare una variegata casistica di interventi contro l'opposizione. Gli esempi di interventi «sulla testa» degli avversari non mancano: si va dal telegramma del 1 ° giugno 1924 con cui Mussolini, riferendosi a Piero Gobetti, ordina al prefetto di Torino di «vigilare per rendere nuovamente democrazia - attribuito egualitariatema un assalto Insidioso ma al tempte viene scatenato con la proposta, 1924, del «voto plurimo», Il fascismo, sin dai primi anni dsperimentare una variegata casisticGli esempi di interventi «sulla testa»dal telegramma del 1 ° giugno 1924 cGobetti, ordina al prefetto di Torino difficile vita questo insulso oppositore governo e fascismo» (e il 5 settembre ci sarà l'aggressione contro il giovane direttore de ha rivoluzione liberale proprio davanti alla sua abitazione di via XX Settembre) sino alla requisitoria - quattro anni dopo - con cui il pubblico ministero del tribunale speciale per la difesa dello Stato chiede la condanna di Antonio Gramsci, Affermando: «Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare». E se tra questi due momenti si vuole mettere in mezzo qualche altro evento ci si può inserire l'agguato squadrista che, a Montecatini, mina mortalmente la salute di Giovanni Amendola, il leader dell'opposizione liberale a Mussolini. L'incontro con il padre, gravemente ferito e prossimo a morire appena dopo l'espatrio, verrà ricordato da Giorgio Amendola, prestigioso dirigente del Pei, nel suo libro di memorie Una scelta di vita: «Egli era bendato, pallido, disteso sul letto. Feci per abbracciarlo, ma egli si lamentò. Non lo si poteva toccare, era tutto piagato. Facevano soprattutto impressione le ferite alla testa, ali occhio e all'orecchio...». E tuttavia, oltre a neutralizzare gli avversari, Mussolini cerca di operare sul voto: promuovendo una riforma del sistema elettorale. La proposta che estrae dal cilindro è, come si è detto, quella del «voto plurimo». Si tratta, in pratica, di attribuire uno o più voti supplementari ad ogni elettore che, oltre a dimostrare di aver compiuto gli studi elementari, abbia svolto qualche incarico di responsabilità nella vita pubblica o esercitato un ruolo significativo nelle istituzioni amministrative locali, nel campo della produzione, dell'attività lavorativa o culturale. In tempi in cui il suffragio universale non era ancora esteso alle donne e la regolamentazione dell'accesso al voto sulla base del reddito apparteneva ad un passato assai recente, la proposta del «voto plurimo» aveva, almeno, il pregio della chiarezza. Se le passate discriminazioni erano basate sul censo (in quanto toglievano il diritto elettorale a chi non disponeva di un certo livello di reddito) col voto plurimo si infrangeva ancor più apertamente il principio che voleva che ad ogni «testa» corrispondesse un «voto», assegnando a un settore dell'elettorato voti di maggior peso rispetto a quelli espressi da altri votanti. La cosa, per la verità, non era nuova. Una tradizione di questo genere come ricorda Edoardo Ruffini nel suo libro fondamentale La ragione dei più, sulla storia del principio maggioritario, pubblicato per la prima volta nel 1927 a Torino dagli editori Bocca - era stata imperante nelle deliberazioni della Chiesa medievale. Rammenterà infatti Alessandro Passerin d'Entrèves, commentando nel 1976 la riedizione del libro di Ruffini, come nelle assemblee ecclesiastiche medievali «i voti non potevano essere solo contati, dovevano essere pesati per accertare la loro corrispondenza alla volontà divina. Da qui la dottrina della sanioritas, sviluppata con infinita sottigliezza nelle fonti canonistiche, secondo la quale ove manchi l'unanimità deve prevale¬ re il giudizio dei migliori (saniores), il che non può evidentemente avvenne senza l'intervento di un'autorità superiore (il Vescovo, il Papa) cui spetterà stabilire quale sia la parte e la scelta migliore». A molti secoli di distanza dal Medioevo a tornare ad un'idea di voto privilegiato, come è quello «plurimo», sono soprattutto i nazionalisti, anche quelli interni al partito fascista, che da tempo sostengono il «suffragio delle capacità». E così Mussolini finisce per far propria questa proposta inserendola nel disegno di legge con cui il governo, il 20 dicembre 1924, propone il ritorno al collegio uninominale. E tuttavia l'idea del «voto plurimo» tanto cara ai nazionalisti non piace a molti sindacalisti in camicia nera. Alla Camera un pattuglione di deputati fascisti, capitanati da Rossoni, dà battaglia - nel dibattito che si tiene a metà del gennaio 1925 - sottolineando come si tratti di una norma fortemente discriminatrice verso i diritti politici degli strati più umili. Viste le proteste l'idea finisce a poco a poco nel dimenticatoio e ben presto non se ne parla più. Quasi a conclusione di quel dibattito sulla questione elettorale che si svolge nel gennaio 1925 s'alza, alla Camera, la voce di Giolitti. L'ex premier spiega come, da parte sua, sarebbe stato favorevole al collegio uninominale proposto dal governo ma, invece, assolutaménte contrario al «voto plurimo». E tuttavia, aggiunge Giolitti, «la presentazione di una legge elettorale doveva implicare il proposito di mettere gli elettori in grado di esprimere la loro volontà. Invece, pochi giorni dopo la presentazione del disegno di legge, s'inasprì radicalmente la politica interna del Governo, con una violenta compressione delle pubbliche libertà...». E cosi, coerente e determinato, vota contro, su tutto. Lo stesso sdegno che suona nell'intervento di Giolitti percorre le pagine di Edoardo Ruffini. In particolare quando, citando la frase di Cobden secondo cui «le minoranze non hanno altro diritto che quello di tentare di divenire maggioranze», ricorda come - in situazioni di soffocamento delle libertà e di regimi autoritari - questa affermazione assuma un suono sinistro. Poiché, più che un auspicio, si presenta solo come «il più atroce degli scherni». Oreste del Buono Giorgio Boatti gboatti@venus.it Mussolini in Parlamento: la proposta del «voto plurimo», avanzata dal Duce sul finire del '24, avrebbe attribuito uno o più voti supplementari ad elettori fidati

Luoghi citati: Cobden, Montecatini, Torino