McGRATH Malato d'amore

McGRATH Malato d'amore McGRATH Malato d'amore OUEL sabato ero a Elgin, nel mio studio al piano di sopra, e osservavo il mare, ricordo, riflettendo su un verso di Goethe, quando la signora Gregor ha bussato alla porta per dire che in ambulatorio c'era un ragazzo che desiderava vedermi, un pilota. Sai come parla, lei. «Un pilota, signora Gregor?» ho mormorato. Odio che mi si disturbi il sabato pomeriggio, specie se Spike fa il diavolo a quattro, come appunto quel giorno, ma naturalmente sono uscito dalla stanza e ho sceso le scale. E tu sai com'è, sai che scena patetica sia, prima la gamba buona, poi quella matta, poi il bastone, gamba buona, gamba matta, bastone, comunque sono arrivato in fondo, vecchio ben oltre i miei anni, e la pelle di un grigio così cachettico che persino tu avrai notato il dolore che provavo, un dolore cronico ma, oh ragazzo caro, non come il tuo, aspetta e vedrai che ora lo facciamo passare... tutto... Ho attraversato l'ingresso - avrai sentito scricchiolare l'assito - e sono entrato nell'ambulatorio. Sempre piena di ombre, quella stanza, anche nelle giornate più luminose, e puzzolente di etere.,, ma giù, vicino all'armadietto, una sagoma. La sagoma si è voltata. E in effetti si trattava di un pilota, ora lo vedevo bene, un giovane bruno di diciotto o diciannove anni, con l'uniforme azzurra e le due ah appuntate sul petto, a sinistra. Il tuo approccio è stato piuttosto formale. «Q dottor Haggard?» mi hai detto, porgendomi la mano. E io? Come ti ho risposto? Con un cenno? Con un sorriso? «Mi chiamo James Vaughan» hai detto. Senza esitazione. «Penso che lei abbia conosciuto mia madre». Oh, Dio. Penso che lei'abbia conosciuto mia madre. Ti rendevi conto dell'effetto che quelle parole avrebbero avuto su di me? No, non credo. Non credo proprio. Chiusa la porta mi sono diretto zoppicando verso la poltrona dietro la scrivania. Tu ti sei lasciato cadere con grazia sulla sedia di fronte a me e hai accavallato le gambe, e io non ho potuto fare a meno di notare che era la stessa identica posa in cui si metteva lei, con una caviglia accanto all'altra e il piede puntato verso il pavimento. Non sentivo nient'altro che il sangue pulsarmi in testa e 0 grido di un gabbiano dalla scogliera. Con tutta la calma possibile, ti ho offerto una sigaretta, ma non sono riuscito ad accendertela, da quanto mi tremavano le mani. Tu ti sei alzato appena dalla sedia e le hai accese entrambe con un accendino piatto placcato in argento. «Un tè?» ti ho chiesto. «Perfetto». Parlavi anche, come lei. Sono andato alla porta per chiamare la signora Gregor, che è arrivata dalla cucina asciugandosi le mani col grembiule. Le ho chiesto di prepararci un tè. Tutto pareva accadere con estrema lentezza. «Senta, ho scelto il momento sbagliato?» mi hai domandato, sospettando di colpo che fossi a disagio perché mi avevi interrotto a metà di qualche faccenda importante. «Niente. affatto» ho risposto. «Perdoni la mia agitazione. Non vedo... cioè, non ho più visto sua madre da...».!...] Fu a un funerale che la vidi per la prima volta, te l'ha mai detto? E sai una cosa? Non ricordo nemmeno di chi fosse. Chi fosse il morto, intendo. Era l'ottobre del '37, una giornata bella e frizzante, e l'aria di Londra sembrava un po' fumosa, le foglie che cadevano lente dai castagni lungo JubiTee Road andavano ad ammucchiarsi sul marciapiede e tra le cancellate, e mentre camminavo di buon passo mi scricchiolavano sotto i piedi. Ero stato di turno tutta la notte al pronto soccorso e quando arrivai la funzione era già iniziata da una decina di minuti. Ovviamente indossavo vestito e soprabito neri; mi infilai nell'ultimo banco in fondo alla chiesa e mi sedetti, stringendo tra le mani il cappello (un cappello di feltro anch'esso nero) nella tipica posa da funerale. Un leggero mormorio percorse la chiesa e alcune persone si voltarono, ma ben presto tornò il silenzio. Lavoravo al St. Basii solo da un mese e mezzo, però riconobbi parecchi medici, fra cui Vincent Cushing e, nel banco davanti al mio, il primario anatomopatologo. Lo conoscevo quasi solo di vista, e devo dire che non mi aveva colpito più di tanto. Certo, le cose sarebbero cambiate: tuo padre avrebbe avuto un'enorme importanza nella mia vita , anche se allora, mentre col cappello di feltro nero in grembo osservavo quella schiena targa e scura e il rotei ino di carne rosea che spuntava dal colletto, non ne avevo, come puoi immaginar;, la minima idea. Ma è strano: ci ho pensato spesso e ancora non so darmi una risposta. Ancora non so cosa fu ad attrarre subito la mia attenzione sulla donna al suo fianco. Oh, figuriamoci se c'è bisogno che te la descriva! Quando entrai in chiesa, la sua hi una delle teste che si voltarono, e credo che l'apparizione di quel ritardatario scarmigliato e col natone l'abbia divertita, per¬ ché li ho avuto la prima, fugace visione del suo sorriso. Caro James, quel sorriso! Pareva dire che niente dovrebbe mai abbatterci, neppure la solennità tetra e sinistra del funerale di un medico! Era una donna minuta, eoa l'aria da monella, avvolta in un ampio cappotto nero con il collo di volpe e un elegante cappellino nero con la tesa all'insù. Il volto incorniciato dalla pelliccia era pallido, un po' a cuore, con l'ossatura delicata e le sopracciglia sottili nere come tratti dì matita. Gli occhi erano incredibilmente limpidi. Sembrava che avesse pianto, e restar li senza far nulla era impossibile. Va bene, ricambiai il suo sorriso, ma bastò così poco? Bastò così poco a gettare in me il seme? I funerali mi hanno sempre turbato molto, e questa può essere almeno in parte una spiegazione; ma conquistarmi così completamente con un sorriso, e per di più un sorriso tra le schiene rigide e scure dei dolenti che popolavano la chiesa... possibile che il cuore sia davvero un organo tanto impulsivo e volubile? Forse sì. Finita la messa, mentre ci attardavamo davanti alla chiesa, la persi di vista e non la vidi più neppure dopo, al cimitero; ma al passaggio della bara lungo la navata avevo lanciato un'occhiata furtiva verso di lei e i nostri sguardi si erano incontrati di nuovo. E credo si possa dire che da quel momento non ho avuto più scampo. Patrick McGrath Dopo il successo dì «Follia» Adelphi pubblica «Il morbo di Howard»: anticipiamo un brano del primo capitola Denominatore comune: il cruento e il sensazionale sono sempre immessi in un contesto realistico on un accendino rgento. «Un tè?» rfetto». 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Persone citate: Goethe, Haggard, James Vaughan, Patrick Mcgrath, Vincent Cushing

Luoghi citati: Londra