«Ero il killer delle carceri così ho smesso di uccidere» di Carlo Grande
«Ero il killer delle carceri così ho smesso di uccidere» Andraous, sei omicidi e una condanna a vita, racconta in un libro di «Liberal» il suo «ritorno all'umanità» «Ero il killer delle carceri così ho smesso di uccidere» Carlo Grande II O guardato Caid (Francis Turatello, ndr) per tanti giorni... Il mio sguardo non vede nulla al mio intorno, non sento nulla, non mi importa nuUa. Mi alzo e cammino lento tra tanta gente indifferente... Mi avvicino, gli sono alle spalle, non si accorge né di me né del mondo che gli cade addosso. E' grosso, imponente, pesante. E' una foglia che non mi preoccupa. Lo afferro e lo sbatto per terra. La lama del coltello penetra nella sua carne. Sento vibrare nella mia mano i suoi respiri affannati. I suoi occhi come il mare ora sono nei mici. TU VINCE TU». In Autobiografia di un assassino. Dal buio alla rinascita (edizioni liberal), Vincenzo Andraous (44 anni, in carcere dal '76 per scontare il suo «Fine pena: mai»), ripercorre l'impressionante scia di odio e di sangue che si porta dentro o si è lasciato dietro: sei omicidi (cinque dei quali nei penitenziari), rapine, evasioni, rivolte nelle prigioni, botte e coltellate in cella e nelle bische. Ma al di là dei brividi che possono provocare i dettagli degli omicidi (come quello del boss Turatello, con le sue ultime parole simili a quelle di Cesare davanti a Bruto), il ritratto di Andraous a colloquio con la giornalista finlandese Pirkko Peltonen è quello di un uomo macerato, senza pace, che si interroga e cerca con sincerità il riscatto. L'ex «killer delle carceri» ha capelli da ragazzo e nessuna voglia di autocommiserarsi: «So bene di essere stato l'artefice della mia rovina», scrive. Prima di fondare nel carcere di Voghera il «Collettivo Verde», per la rieducazione di detenuti comuni «ad alto indice di pericolosità», aveva ad esempio ucciso il «texano». Precisamente in questo modo. Qualche anno pnma l'uomo l'aveva accoltellato in cella, per rubargli catenina e orologio. «L'ho inseguito per an- ni, da un carcere all'altro... Finché l'occasione si è offerta durante la rivolta nel carcere di Novara». Aggredisce gli agenti, prende le chiavi delle celle, apre quella del «texano»: «Lui era lì in piedi, con ancora addosso il pigiama. "C'è una rivolta, texano, tu che fai? Vieni con me o rimani a fare lo zerbino?" Come un automa uscì dalla cella, e venendomi incontro barcollante per l'emozione mi abbracciò: "Vince, ti ringrazio per avermi dato questa possibilità, te ne sarò grato per tutta la vita, ho sbagliato con te, non succederà mai più"». Lui gli pianta il coltello nell'addome, «una, due, tre volte. Con una mano lo tenevo per i capelli e con l'altra lo colpivo, senza pietà... Ero eccitatissimo, completamente fuori di me». La descrizione rende l'idea di quanto l'odio possa dilagare in una persona («Cos'è il male? La violenza, il bisogno di odiare, no?») e poi ritirarsi, portandosi dietro ogni molecola di umanità. Andraous descrive il suo passato di superuomo esaltato dal rischio, gli insulti subiti nell'infanzia («terrone»), il primo «amichetto del cuore» morto per colpa di una banda ri va lo, la prima pistola, «metallo lucido da rigirare fra le mani», la sua donna Alessandra, morta sedici anni orsono, la fuga del padre quando aveva dodici anni. Ricorda il «brivido» ineguagliabile di saltare il bancone delle banche e gli schiaffoni della madre (dodici, contati uno per uno) quando rientrò a casa per un permesso, a quarant'anni. Eppure adesso non ha più «certezza di esistere, una volta incrinata l'immagine del duro». La «be¬ stia», dice, è diventata un essere umano. Da cinque anni il pericolo pubblico esce in permesso, lavora all'esterno nel volontariato. La sua è una confessione senza vergogna, senza attenuanti, senza facili redenzioni. Il libro si apre con un messaggio del cardinale Carlo Maria Martini e si chiude con una lettera di Erri De Luca, densa di realismo e di speranza: «Io non ho fiducia nelle pagine, esse non possono trattenere nessuno dalla sua rovina. Leggere la tua vita non salverà nessuno. Però, se ce la fai tu Vincenzo, nessuno potrà dire da nessuna stazione della sua sventura: iò non posso». Una confessione senza vergogna, senza attenuanti, senza facili redenzioni Da cinque anni la «bestia» esce in permesso e lavora nel volontariato Vincenzo Andraous ha quarantaquattro anni e sei omicidi sulle spalle Qui è in un'aula di tribunale nel 1987 A sinistra Francis Turatello il gangster che fu ucciso da Andraous in una cella
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