Contro La Porta «Ma la vita è altrove»

Contro La Porta «Ma la vita è altrove» Contro La Porta «Ma la vita è altrove» La Porta «Ma fa vita è altrove» CRITTORI con poco da raccontare e molto da scrivere: Filippo La Porta trova una frase impietosa, che pare una condanna. Ma così non è, o almeno non del tutto. E' stato giusto incoraggiare la nuova narrativa, dopo l'orgia ideoogica degli Anni 70, come hanno fatto soprattutto Fofi e Siciliano». E il bilancio qual è? Che gli scrittori sono più italiani di quanto pensassero». Nel senso del sottotitolo che dà al suo libro, «Travestimenti e stili di fine secolo»? «Nel senso dei travestimenti. Nel desiderio di apparire migliori di quel che sono. Io sono anche d'accordo con le mappe che si faiuio di tanto in tanto sulla nostra narrativa. A patto di premettere a ciascuna categoria: si traveste da...». Chi si salva? «In mezzo a questi travestimenti ogni tanto c'è un Ubro imperfetto, magari sgradevole, in cui le tante maschere cadono o collassano». Per esempio? «Sono un fan solitario di Antonio Moresco, il cui romanzo è stato molto maltrattato dalla critica. Ma anche Andrea Carrara, Guido Conti, Chiara Tozzi. Non saranno opere seduttive come il Baricco, ma si percepisce una motivazione extraletteraria che risiede in ossessioni vere, angosce, utopie. Non era cosi anche per Celine e Gadda? A me piacciono le opere che non ci vogliono stupire a tutti i costi». E che sanno i «mestieri»? «Quel paragrafo del mio libro andrebbe aggiornato. Cominciano a comparire i nuovi mestieri, dal venditore di carte di credito di Sebastiano Natta alla telefonista erotica di Francesca Mazzuccato. 0 penso al secondo romanzo di Edoardo Nesi, all'impiegata di fabbrica di Claudio Piersanti in Luisa e il silenzio. Però...». Però... «Rimane l'impressione generale di una scarsa curiosità ad uscire dal proprio orizzonte». Di scrittore e di intellettuale? «Gli stranieri, soprattutto gli angloamericani, hanno un patto col lettore. Sanno per chi scrivono. Ho l'impressione che noi, a forza di dire che la realtà non esiste, che è virtuale, perdiamo di vista la realtà legata alla vita quotidiana. Certo, la letteratura non è il Censis, e non è un giornale. Ma vorrei chiedere ai romanzi di rappresentare quella realtà di cui non parlano i media: non solo di mostrarci le grandi trasformazioni, ma di farci capire come queste si traducano in un modo di vivere, di fare l'amore, di aver paura della morte». |m. b.]