A destra tre anni di dispetti di Fabio Martini

A destra tre anni di dispetti I DUE LEADER E JNA COESISTENZA TORMENTATA A destra tre anni di dispetti Mail maggioritario ha puntellato Valleanza (a storia Fabio Martini ROMA OUEL giorno neanche i manicaretti del cuoco Michele erano riusciti ad addolcire l'atmosfera, con Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini seduti uno davanti all'altro, ma senza mai guardarsi nogli occhi. Era il tredici febbraio millenovecentonovantasei e in casa del Cavaliere i capi del Polo erano chiamati a decidere le sorti del «governo» Maccanico. Le telefonate si susseguono concitate, Fini chiama D'Alema, D'Alema informa Maccanico, l'incertezza domina fino alle 18 in punto, quando le agenzie battono una dichiarazione di Maurizio Gasparri, braccio destro di Fini: «Tra poco nasce il governo Maccanico. Noi siamo contrari ai conflitti di interesse e chi deve andare in galera ci vada». Uno schiaffo in faccia al Cavaliere, il più fragoroso mai partito da An, la pietra tombale sul tentativo Maccanico. Sessantotto giorni dopo si vota e per la prima volta nella storia della Repubblica la sinistra vince le elezioni. Silvio Berlusconi non ha mai dimenticato quel no, il primo di una serie di dispetti politici che i due leader del Polo si sono scambiati negli ultimi tre anni, pur riaffermando ogni volta che l'«unità del Polo non è in discussione». Anche ieri la rappresentazione è andata in scena come le altre volte: Gianfranco Fini, con un blitz inusuale per un meditativo come lui, nel giro di 48 ore ha chiuso l'accordo con Segni e i «transfughi» di Forza Italia, in privato Berlusconi si ò adirato, ma poi due comunicati separati hanno provveduto a stendere il solito velo diplomatico. In realtà lo strappo di Fini è l'ultimo di una sene di scosse che hanno via via logorato un rapporto personale che, certo, resterà cementato per via del sistema elettorale maggioritario, ma che ha perso lo smalto dei giorni migliori. Un rapporto che da ieri è diventato più incerto, più carico di sospetti. Certo, i due non sono mai diventati amici, non si sono mai frequentati fuori della politica, antropologicamente sono agli antipodi: per rilassarsi, Fini si rifugia nella anonimo villetta al Lido delle Sirene, senza piscina e campo da tennis, acquistata con un mutuo da 25 milioni; Berlusconi deve soltanto scegliere una delle ville miliardarie in giro per il mondo. Ma tra i due all'inizio c'è stato feeling. Fin dalla prima volta, quando Berlusconi, da capo delia Fininvest, invitò il missino Fini ad Arcore per chiedergli: «Lei Gianfranco cosa ne pensa se io facessi politica?». E Fini: «Io glielo sconsiglierei...». Era l'autunno dei 1993 e qualche giorno dopo, in un supermercato di Casalecchio di Reno, Berlusconi disse: «Se votassi a Roma, voterei per Fini...». Fu proprio quell'annuncio («Berlusconi non mi aveva detto nulla», racconta Fini) a schiudere ai missini le porte della dogana democratica. Ma dopo la stagione del governo del Polo, sono arrivati i primi screzi. Il no di Fini al tentativo Maccanico apre la strada alla sconfitta elettorale del Polo, Berlusconi evita di rinfacciarglielo in pubblico, anche se la vera svolta si consuma nei primi mesi del 1998, con Prodi al governo è D'Alema presidente della Bicamerale. Il 28 gennaio, nell'aula di Montecitorio, Fini si dimostra ottimista sulla Grande Riforma, Berlusconi no, i giornali parlano di asse D'Alema-Fini e il patatrac si consuma tre giorni più tardi aU'assemblea deU'Associazione nazionale magistrati. Fini annuncia di essere disponibile a rinunciare al doppio Csm. Berlusconi è a Parigi, si infuria, ma dice ai giornalisti di «essere stato rassicurato da una telefonata di Fini». Ma in privato Berlusconi rinfaccia all'alleato: «Gianfranco mi sento tradito: come hai potuto cedere dopo la trattativa che avevamo fatto, su una questione che fa impazzire di rabbia Borrelli?». Un mese dopo, alla convention di An a Verona i due si scambiano nuove frecciate. Berlusconi interviene, pronunciando un discorso anticomunista da Anni Cinquanta: La platea è in delirio, ma l'indomani Fini corregge l'amico: «Una poltica anticomunista non serve, perché il comunismo non c'è più!». Gianni Letta sente la replica da «Radio Radicale», telefona a Berlusconi e lo trova nero: «Gravissimo discorso quello di Gianfranco...». Ma anche Fini non ha mai dimenticato l'improvviso stop di Berlusconi all'intesa sulla Bicamerale. E' il 27 maggio 1998: Berlusconi, a sorpresa, annuncia il suo no, Fini per la prima volta non applaude un intervento del Cavaliere. Si allinea, evita polemiche plateali e confessa: «Con Berlusconi ho sbagliato, non mi aspettavo davvero che rompesse in modo così repentino». E il solito pranzo in casa Berlusconi si consuma nel gelo: Fini non mangia nulla, gli altri spilluzzicano. Alfredo il cameriere torna in cucina con i piatti pieni. Dal governo Maccanico al referendum una catena di dissidi Sulla Bicamerale reciproche accuse di «tradimenti» Il leader del Polo Silvio Berlusconi: di ritorno dalla visita a Londra ha sentito telefonicamente Gianfranco Fini, ma l'Incontro fra I due non c'ò ancora stato

Luoghi citati: Arcore, Casalecchio Di Reno, Londra, Parigi, Roma, Verona