«L'uso della forza deve perseguire un fine politico»

«L'uso della forza deve perseguire un fine politico» IL SEGRETARIO GENERALE DELL'ORGANIZZAZIONE PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA «L'uso della forza deve perseguire un fine politico» intervento Giancarlo Aragona VIENNA IL dramma che si sta dipanando nel cuore dell'Europa suscita legittimi interrogativi circa l'adeguatezza della comunità internazionale, o per meglio dire delle istituzioni in cui essa si incarna, a prevenire o, quanto meno, a bloccare nelle fasi iniziali crisi di cui e prevedibile il progressivo aggravamento. Sul banco degli accusati sono in prima fila le Nazioni Unite. Bisogna tuttavia riconoscere che, al di là del prestigio e della capacità di iniziativa del Segretario generalo, il Consiglio di Sicurezza intanto può decidere e agire in quanto gli interessi e gli obiettivi dei suoi membri permanenti coincidano. In altre parole - anche so può suonare paradossale - può accadere che l'Onu finisca col diventare vittima di una crisi piuttosto che lo strumento della sua soluzione. Anche le frustrazioni, passate e recenti, sul ruolo delle Nazioni Unite - accompagnato dalle polemiche sulla esigenza, o meno, di legittimare l'intervento della Nato hanno rilanciato il dibattito sulle potenzialità doll'Osce, crede del processo di Helsinki e della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, unico foro di dialogo Est-Ovest durante la Guerra fredda. La copertura di un'area geografica che va da Vancouver a Vladivostok e che include anche i Paesi dell'Asia Centrale, l'adesione ad un concetto di sicurezza non limitato a quello solo militare, oltre al l'atto che tutti i suoi membri vi partecipano su un piede di assoluta parità, attribuiscono all'Organizzazione un grande potenziale che gli Stati le riconoscono definendola, in numerosi documenti fondanti, uno strumento primario di prevenzione e gestione delle crisi. Ma, forse, proprio perché il mandato doll'Osce è così ampio, ci si chiede da più parti se sul Kosovo l'Organizzazione non abbia tradito le aspettative o, per dirla brutalmente; non abbia' dovuto registrare un fallimento. Nella realtà, l'Osce percepiva da tempo il serio indebolii)unito del ( quadro democratico e dei diritti umani nella Federazione Jugoslava. Il suo spazio di intervento, però, sino all'ottobre 1998, è stato severamente limitato dal fatto che il governo di Belgrado subordinava il dialogo con l'Organizzazione alla sua partecipazione ai lavori, dopo la sospensione che l'aveva colpito nel 1992 a seguito degli eventi bosniaci. Nel momento in cui le circostanze ci hanno consentito di assumere le necessarie iniziative, la risposta dell'Osce è stata efficace e tempestiva, con lo spiegamento di una missione senza precedenti per dimensione e mandato. E' quindi comprensibile che la decisione di lasciare temporaneamente il Kosovo, presa nel marzo scorso, non sia stata adottata a cuor leggero. La presenza dei verificatori internazionali, che a partire dalla fine di ottobre dello scorso anno era andata aumentando sino a raggiungere il ragguardevole numero di oltre 1400 persone, aveva contribuito a contenere l'aumento della tensione. Dal febbraio '99, però, il quadro generale si è deteriorato, con scontri sempre più intensi tra le Forze Armate jugoslave, i cui livelli in Kosovo erano comunque in eccesso di, e 1 Uck. Dopo il fallimento di Rambouillet, e il degrado delle condizioni di sicurezza, uniti ai crescenti ostacoli che da parte jugoslava si frapponevano allo svolgimento dei compiti della missione, si è reso inevitabile il ritiro, come misura temporanea e prudenziale. Tutti i Paesi membri dell'Osce ne hanno preso atto, coscienti dei rischi cui sarebbero stati altrimenti esposti i verificatori. Il rammarico per questa scelta obbligata scaturisce sia dall'avere dovuto interrompere un lavoro che si stava rivelando utile sul terreno, sia dal fatto che, grazie all'assunzione di così vaste responsabilità in Kosovo, l'Osco si affermava ormai in marnerà irreversibile come un attore forte e credibile della struttura di sicurezza europea del dopo Guerra fredda. Questo processo di consolidamento del ruolo e del profilo dell'Organizzazione rimane comunque attuale alla luce della convergente volontà, che supera alcune inevitabili differenze di vedute, di Stati Uniti, Russia, Paesi dell'Unione Europea e altri di sfruttare le peculiarità di una organizzazione che offre caratteristiche operative di grande flessibilità. —r--"- - !—rvt • m~~~ Si è detto da taluni cho l'Osce, data la sua natura strettamente ci« vile, si rivela incapace di fronteggiare crisi "ad alto rischio eoi iinporre soluzioni. Premesso che questo giudizio trascura il peso del consenso politico, che, quando solido, è in grado di affermare con forza la volontà della comunità internazionale, è anche vero che, a partire dall'esperienza bosniaca passando attraverso quella albanese, la gestione delle crisi in questa fine millennio impone il ricorso combinato a risorse diverse, che possono essere di natura diplomatica e militare. L'importante è tener presente che l'impiego della forza, allorché necessario, è strumentale al conseguimento di un obiettivo politico, concetto che l'Italia - mi sembra - non si stanca di ribadire. In attesa, comunque, di far ritorno in Kosovo per contribuire all'attuazione dell'attesa soluzione politica, la missione dell'Osco, sia pure a ranghi ridotti, presta una utile assistenza all'Alto Commissario per i Rifugiati sia in territorio macedone che in Albania. La catastrofe umanitaria di questi giorni suscita emozioni tali che una organizzazione come la nostra, che tanto insiste sulla «dimensione umana» della sicurezza, non poteva sottrarsi all'obbligo morale di mettere le sue risorse umane e materiali a disposizione dello sforzo intemazionale di 'assistenza. Si deve trattare, tuttavia, di un impegno temporaneo. Rimaniamo pronti a tor nare in Kosovo e i iti h l a intraprendere i compiti che, nel quadro della soluzione politica del la crisi, ci 'verranno affidati e che;' presumibilmente, copriranno un vitale ventaglio di settori che vanno dalla realizzazione di istituzioni kosovare realmente democratiche e rappresentative, alla creazione di una polizia e di un sistema giudiziario imparziali, dalla preparazione di elezioni libere e corrette al consolidamento di un contesto di rispetto generale dei diritti umani. Questo sforzo dell'Osce si dovrà tuttavia inserire nel contesto di un impegno internazionale che, per forza di cose, sarà non solo massiccio, ma anche articolato. E' impensabile che le crisi del post-Guerra fredda, in cui i tradizionali fattori di influenza e di equilibrio si mischiano a violazioni di diritti umani, a deficit democratici e a vistose carenze socio-economiche, possano essere risolte senza il concorso di più istituzioni, ciascuna per la parte che le è più congeniale. Questo, senza dimenticare che le organizzazioni internazionali, anche al giorno d'oggi, rappresentano ciò che i loro Paesi membri desiderano che esse siano e facciano. Il m ultilatendiamo è uno strumento indispensabile per regolare il mondo ma rimane, appunto, uno strumento e non un fine in sé. «L'Osce è pronta a tornare nel Kosovo per contribuire alla ricostruzione» Veicoli dell'Osce lasciano il Kosovo poco prima l'inizio dei raid Nato

Persone citate: Giancarlo Aragona