L'Uck in trappola resiste all'assalto finale

L'Uck in trappola resiste all'assalto finale Un guerrigliero: «La nostra sola speranza è andare nelle montagne, dove i serbi hanno paura» L'Uck in trappola resiste all'assalto finale La battaglia per il controllo del Kosovo occidentale Rémy Ourdan Inviato a PEC All'inizio non sono che un clamore che si leva dalla nebbia. Invisibili, intonano una triste canzone. Poi la colonna dei fantasmi dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) lacera il sudario della bruma. I combattenti esausti scalano il monte Ruselija. Un'unità arriva in cima e accende un fuoco, alcuni stendono le proprie miserie vicino alle fiamme, le loro scarpe sfondate, i loro calzini bucati. I loro volti mostrano l'infinita stanchezza dei fuggitivi. Più a valle risuonano le esplosioni. I colpi dei mortai si abbattono sui villaggi, investiti dalle forze serbe. Ci sono cecchini nascosti nella foresta. Altre unita raggiungono la cresta. Molti gli uomini con fasciature di fortuna. Molti combattenti, spezzati, s'appoggiano a grucce improvvisate. Le barelle sono fatte con rami e coperte. Duecento uomini e due donne son riusciti a sfuggire all'inferno di Decani, di Vrela, di Novo Selo, di Kadanci, di Studcnica. La colonna del monte Ruselija è un esercito in rotta. L'Uck sta perdendo il Kosovo occidentale. La ITU" brigata? Decimata. La 132°? Disfatta. La 133"? Non tiene più che qualche posizione. Gli ufficiali hanno lasciato il quartier generale ed errano nella foresta. La colonna degli sconfitti e dei feriti tenta di raggiungere la 136a brigata a Rugova, a ridosso del Montenegro, che tiene bene. 0 almeno cosi sperano i fuggitivi. A poco a poco la colonna riprende il cammino. L'obiettivo per la giornata è il villaggio di Bijelo Pac, in una valle in cui, si dice, l'.Uck non è stato ancora disturbato. La discesa dal monte è un calvario. Feriti e barellieri scivolano nella neve. La colonna, divisa in gruppi di 10-20 uomini, deve fermarsi ogni cento metri. I più forti aiutano i più deboli ad alzarsi, li incoraggiano. Ad un tratto in pianura appare Pec. Colonne di fumo si levano dal piano: quattro villaggi stanno per essere cancellati dalla carta geografica. Circa 50 mila kosovari sono stati deportati da questa zona. Pec è una città morta. I soldati serbi si nascondono per evitare i ni id Nato. «L'Uck si ritira - dice All -. Noi accompagniamo a Rugova questi feriti, poi torneremo a cercarne degli altri. Chi è circondato è lasciato a se stesso. La nostra sola speranza è andare nelle montagne, dove i serbi hanno paura. Non possiamo più scendere a valle a combattere, hanno raso al suolo i villaggi, e ci attendono con i loro tank». Avni racconta della «Mano nera», un'unità paramilitare meno conosciuta delle «Tigri» di Arkan. «Per terrorizzare i civili, la "Mano nera" taglia la gente a pezzi con accette e coltelli, e ne sparpaglia le membra nei villaggi. E' così che hanno ucciso mia nonna Jablanica. I miei parenti hanno trovato la sua testa davanti alla casa dei vicini, li corpo giaceva nella nostra sala da pranzo». Adem, un comandante di compagnia dell'Uck, è stato ferito all'addome da un cecchino. Sei dei suoi uomini portano la barella e l'accompagnano in questo viaggio, alla ricerca di un rifugio. Adem è un ufficiale rispettato. Oste in Svizzera, è tornato al suo Paese, a 35 anni, per combattere. «Perché? Forse per amore della patria, semplicemente. Possono bruciare tutto, case, villaggi, ma la terra non brucia. E questa terra è il nostro Paese». Adem rifiuta di vedere in questa colonna la ritirata dell'Uck: «E' solo un convoglio di feriti. La vittoria è vicina». L'unico problema, secondo lui, è «l'arsenale nascosto dei serbi». Dai tempi di Tito, depositi d'armi e aeroporti segreti scavati nelle montagne. Senza un intervento occidentale in Kosovo, né la Nato né l'Uck verranno a capo di questa macchina da guerra. Le barelle in spalla, i combattenti riprendono il cammino. Man mano che la colonna si avvicina a Bijelo Pac i sentieri si fanno fangosi. Nella valle è già il disgelo. A tratti il sentiero, sull'orlo dei burroni, è largo appena 30 centimetri. Dei ruscelli attraversano il cammino. Arrivati al villaggio, i feriti sono accolti nelle case dei contadini, i soldati si rifugiano nei fienili e negli ovili. All'alba si viene a sapere che gli esploratori hanno finalmente raggiunto nella notte la 136' brigata. Un combattente agguerrito e quattro medici arrivano a Bijelo Pac con medicazioni e calmanti. La colonna riparte. Poi c'è la scalata ad altri monti e il ritomo del freddo pungente. La colonna si ferma. Lo stato maggiore della 136» brigata ha mandato dei trattori per percorrere gli ultimi dieci chilometri. Arrivati in caserma i feriti vengono adagiati sull'erba, ricevono del pane. Ma il sollievo sarà breve. D giorno prima l'esercito serbo ha bombardato coi cannoni alcune posizioni dell'Uck in questo settore. Dice Florin Kulaj, il comandante della 136*: «I serbi hanno enormemente rafforzato la loro posizione e preparano un'offensiva». La 136a brigata è in stato d'allerta. Per la colonna dei feriti questa non è che la fine di una prima fuga. A Sud c'è l'Albania, Paese fratello, ma la via è preclusa. Ad Ovest c'è 0 Montenegro, il cui governo tollera i passatori che riforniscono l'Uck, ma dove l'esercito serbo è presente e preclude ogni ritirata. I combattenti della colonna di Ruselija sanno che dovranno aiutare la 136* a resistere agli assalti dei serbi. Per loro il riposo non è che ipotetico. Il tempo d'una pausa in una notte di guerra. Copyright «Le Monde» e «La Stampa» «La "Mano nera", un'unità paramilitare meno conosciuta delle Tigri di Arkan, taglia la gente a pezzi»

Persone citate: Adem, Avni, Florin Kulaj, Rugova

Luoghi citati: Albania, Kosovo, Montenegro, Novo Selo, Svizzera