In 320 pagine il vademecum della pizza
In 320 pagine il vademecum della pizza L'autore: «Il criterio di selezione? L'uso dichiarato delle materie prime più classiche» In 320 pagine il vademecum della pizza Una guida scheda 1712 locali rigorosamente tradizionali Sergio Miravano MILANO^ Cinque lettere in orizzontale o verticale, ma il significato non cambia: pizza è la parola più vista sulle insegne dei locali di tutto il mondo. Un primato italiano che però, e non da oggi, è in mano alle multinazionali del «Ibi>d and beverage». Il marchio Pizza Hut, controllato dalla Pepsi Cola, è il numero uno al mondo e ci sono decine di altre catene che servono pizze surgelate e precotte con migliaia di punti di distribuzione, dal Giappone al Sud Africa. E in Italia? La pizza ò ancora un prodotto artigianale, ma non mancano segnali di cambiamento e non sempre in meglio. Nonostante La crescita, spinta da tambureggienti campagne pubblicitarie delle pizze congelate da riscaldare nel forno di casa (hanno raggiunto il 5% del mercato in pochi anni) il settore è in mano a poco più di 30 mila pizzerie a condu¬ zione familiare, che sfornano i sei milioni di pizze quotidiane consumate dagli italiani. Una media di una pizza ogni 10 abitanti, lattanti compresi, il che, in termini di fatturato, significa qualcosa come ventimila miliardi l'anno, Non male per questo «sole» di pasta lievitata, capace di arricch irsi di qualsiasi orpello, forse troppi considerando che oltre alla tradizionale «Margherita» (dedicata dai napoletani alla regina d'Italia, in visita alla città, alla fine del secolo scorso) le pizze sono proposte in migliaia di versioni e abbinamenti. Se ne ha una riprova in questi giorni a Salsomaggiore, dove si svolge il campionato mondiale dei pizzaioli con oltre 300 concorrenti. E Beppe Francese, di Tramonti, la capitale amalfitana dei pizzaioli (l'emigrazione ne ha sparsi 2500 in tutto il mondo) ha lasciato momentaneamente il posto alla cassa del suo locale nel centro storico di Asti, per mettersi al computer e redigere le schede delle migliori pizzerie d'Italia. Ne è uscita una guida, giunta alla seconda edizione, che è stata presentata ieri al circolo della Stampa di Milano, Veronelli Editore. In 320 pagine (25.000tlire) sono schedate 1712 pizzerie rigorosamente tradizionali. «Abbiamo scelto come criterio di selezione - spiega Francese - l'uso dichiarato delle materie prime più classiche; dal pomodoro pelato di San Marzano alla mozzarella cagliata a latte crudo, sia vaccino che di bufala, all'olio, rigorosamente, extravergine d'oliva. E' una regola che deve valere dalla Val d'Aosta alla Sicilia, pur lasciando libertà di interpretazioni regionali, ma sempre legate alla stagione e ai prodotti del territorio». Insomma, anche per la pizza si va verso la difesa della tradizione chiedendo il riconoscimento del marchio di origine. Con una sottolineatura: nel bicchiere non solo birra, ma anche vino. Secondo il dietologo Giorgio Calabrese, presente ieri a Milano, si abbina senza problemi alle pizze «made in Italy».
Persone citate: Beppe Francese, Giorgio Calabrese, Sergio Miravano, Veronelli Editore
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