Sparavano ai compagni ridendo di Gabriele Romagnoli

Sparavano ai compagni ridendo STORIA DI ERIGE PVtAIM, UNA FEROCIA COVATA NELL'INDIFFERENZA DELLA FAMIGLIA Sparavano ai compagni ridendo «Sai soltanto piangere? Allora muori» reportage Gabriele Romagnoli inviato a LITTLETON Li avrebbero potuti fermare. Prima e durante. Adesso, dopo il massacro, possono solo seppellirli insieme con le loro vittime, con domande che non troveranno risposta e con una coscienza collettiva che non troverà pace. Si chiamavano Eric e Dylan. Avevano 18 e 17 anni. Portavano soprabiti neri. Si mettevano il rossetto scuro. Amavano Hitler, la lingua tedesca, la musica gotica. Odiavano tutti. Hanno ucciso ridendo. Urlando: «Quanto abbiamo aspettato questo giorno!». Sparando per primi agli atleti, per lMUWW"ld*iml;ilfjH' terzi a quelli che pregavano, per ultimi a se stessi. Un colpo in testa. Due corpi distesi sul tavolo della bi- ; Tmbtecà, ì pantaloni militari infilati negli anfibi, le bandoliere piene di cartucce intorno alla vita, le bombe a a mano nella cintura, i mitra ancora in mano. Hanno staccato le loro immagini da una foto di gruppo nell'annuario della «Columbine High School» che li definiva «Trench Coat Mafia», una sigla che a un preside e a uno sceriffo distratti è risultata «assolutamente medita». Sotto, avevano aggiunto, di loro pugno: «La follia è salute. Restate vivi, diversi, pazzi». Hanno passato un fine settimana nel garage della casa di uno di loro. Il padre, ex militare, anch'egh" distratto, non li ha sentiti, mentre preparavano le granate che avrebbero sfigurato i volti dei loro compagni e costruivano ordigni contenenti mazzi di chiodi che si sarebbero infilati nei cuori di ragazze sedicenni. Non li aveva visti, mentre radu-1 navano un arsenale da battaglione. Non ha mai parlato a suo figlio, quando questo si alzava da tavola e si chiudeva nella sua stanza, sbattendo la porta con l'adesivo «Odio la gente» e si metteva al computer, raccogliendo e diffondendo informazioni sulla fabbricazione di esplosivi. Sono arrivati nel parcheggio della scuola in una mattina di sole, sulla Bmw nera avuta in dono dai genitori come premio per essersi sempre dimostrati più intelligenti che bravi, più insofferenti che critici. Avevano deposto, strada facendo, due bombe a orologeria, esplose dieci minuti prima, sufficienti per attirare altrove la polizia di Littleton, 65 mila abitanti, sobborgo di Denver che un tempo era campagna e ora lamiere basse, campi da calcio e chiese. Sono scesi, hanno sbottonato i soprabiti e camminato con i fucili in mano. Avevano scritto sui muri dei bagni «Un giorno questa scuola esploderà» e «Tutti gli atleti devono morire». Avevano annunciato su Internet che il 20 aprile sarebbe stato un giorno di sangue. Avevano detto, la sera prima: «Domani ci vendicheremo, guardate la tv». Avevano cerchiato in nero la data sul calendario in classe: 20 aprile, compleanno di Adolf Hitler, un giorno dopo l'armiversario dei massacri di Oklahoma e di Waco. Ma per le autorità scolastiche il 20 aprile è solo il giorno in cui gli studenti fanno «fughino» par fumare marjuana e, secondo convenzione, gli insegnanti chiudono un occhio. Hanno attraversato la sogna d'ingresso e gettato decine di fu- turi alle spalle. Uno ha guardato un compagno e detto: «Tu mi piaci, fuori di qui!». Il padre di quel ragazzo aveva presentato due reclami contro Eric e la «Trench Coat Mafia», per minacce e violenza. Cestinati. Hanno cominciato a sparare. Non come gli altri di Jonesboro, Paducka e delle tante scuole americane insanguinate senza che nessuno dei «grandi» imparasse la lezione. Questi non sono sbucati all'improvviso, non avevano i fucili di papà e non volevano vendicarsi della fidanzatina insensibile. Questi avevano un piano, un arsenale, un bersaglio. Collezionavano figurine del baseball e odiavano i coetanei atleti. Inneggiavano alla diversità e odiavano i diversi. Si senti- vano esclusi e si emarginavano da soli. Questi erano i tigli che l'America dei padri, presidi e sceriffi distratti non vede perché non vuole vedere. A cui non parla perché non sa che cosa dire loro, con quali parole stanarli da quel buco nero dove hanno radunato un ciarpame di svastiche e bandiere confederate,'parole di legge e ordine e confusione mentale, pessima musica e patetiche letture. Questi detestavano tutti, ma l'adesivo «Odio la gente» sta attaccato ai cofani di decine di auto del Colorado e c'è chi lo produce, vende, ci fa soldi e la sera torna a casa dai figli, che intanto lavorano in garage ascoltando clangori gotici. Hanno continuato a sparare, senza fermarsi. Esaltandosi. Li- berando la ferocia dei bambini mentre usavano armi da adulti. «Pee-ka-boo!», tana!, hanno urlato scovando uno che si era nascosto sotto il tavolo, prima di sparargli alla nuca. Hanno giustiziato una ragazza che invocava il Signore «perché Dio non ascolta». esiste, quindi non ti Hanno sfondato la testa di uno studente di colore, poi gridato: «Guarda, il cervello di un negro! Figo!». Hanno seminato morte dal bar alla biblioteca, indisturbati. Gli squadroni dell'antiterrorismo, la cinematografica Swat, tutti in nero, con i passamontagna, come Eric e Dylan, sono arrivati sul posto dopo un'ora. Sono entrati nella scuola dopo tre ore e mezzo, quando il fuoco era cessato. Fuori c'erano cinquecento agenti. Dentro, due ragazzi. Nei film, durante un assedio, la polizia temporeggia quando i criminali minacciano di uccidere gli ostaggi. Eric e Dylan stavano uccidendo gli ostaggi («Dimmi una buona ragione per cui dovrei lasciarti vivere! Eh? Sai solo piangere?» Bang!). Gli uomini in nero dalla parte della legge hanno eroicamente salvato uno che si buttava dalla finestra, guardato quello che esponeva il cartello «Aiuto, mi sto dissan- Kandò!». E aspettato. Li avrebro potuti fermare, durante, intervenendo prima che uccidessero ancora e la facessero finita. Temevano le bombe, hanno aspettato il silenzio. C'è, infatti, un grande silenzio, adesso, a Littleton. Dovrebbe essercene ancora di più. Potrebbe tacere il governatore Owen che si aggira consolatorio e stava per approvare una legge per la liberalizzazione delle armi. Avrebbe potuto tacere il prete che ha detto, alla funzione commemorativa: «Il Kosovo era nel giardino di casa nostra». Scoprono tutto adesso. Com'era bella la loro terra. Ci hanno seminato fiori. Quando hanno visto che sbocciavano neri, hanno chiuso gli occhi. Avevano scrìtto sui muri dei bagni «Un giorno questo istituto esploderà e gli atleti moriranno» Hanno sfondato la testa di un ragazzo di colore e gridato «Questo è il cervello di un negro» ; Due immagini dei primi soccorsi agli studenti feriti Dylan Klebold e il suo compagno Eric Harris gli autori delia strage Ragazze in lacrime attendono notizie degli amici e compagni di scuola

Persone citate: Adolf Hitler, Dylan Klebold, Eric Harris, Hitler

Luoghi citati: America, Colorado, Denver, Kosovo, Oklahoma