Un santo inviato del Cremlino a Belgrado di Giuseppe Zaccaria

Un santo inviato del Cremlino a Belgrado Folla enorme alla funzione nella cattedrale, poi a colloquio con Milosevic e Rugova Un santo inviato del Cremlino a Belgrado Messa e negoziati per il Patriarca Aleksij Giuseppe Zaccaria inviato a BELGRADO Canta la sua preghiera, il Papa di Mosca. Porta a Belgrado un'icona, misteriose e benauguranti reliquie di San Serafino e qualcosa in più di un augurio, mentre tutta la città prega dentro e dinanzi la cattedrale del Santo Sava. La visita in Jugoslavia di Aleksij II, Patriarca di tutte le Russie, non è evento storico solo in chiave di religiosità ortodossa, e neanche rispetto a quel nuovo panslavismo che continua ad affacciarsi minaccioso attraverso le alleanze di guerra. Rappresenta qualcosa di più, forse l'ultimo passo prima dell' irruzione sulla scena dell'ex potenza russa nel ruolo di grande mediatrice di pace. Un altro, forse decisivo sforzo che cade nel momento in cui i bombardamenti cominciano a raggiungere aree, come il Sangiaccato, che in teoria dovrebbero rientrare tra quelle da proteggere. Aleksij II non era mai calato qui, almeno in missione ufficiale. Adesso il suo arrivo viene salutato dai belgradesi come da noi lo sarebbe una pubblica, dirompente irruzione del Papa nella vita civile del Paese. Il rito viene trasmesso fin dal primo mattino sulle tv pubbliche, come dalla cattedrale la gente si accalca sulle transenne e partecipa alle preghiere trasmesse da altoparlanti. Le Chiese ortodosse sono, come si dice, autocefale, ciascuna vive indipendentemente dall'altra in un altalenante, spesso soffocante intreccio di relazioni coi poteri dei rispettivi Stati. Da questa sorta di anarchia religiosa qualcuno fa dipendere anche l'origine dell'anarchia sociale di queste terre. Aleksij II è solo «primus inter pares», un Patriarca solo un po' più autorevole degli altri. Questo suo viaggio a Belgrado, dunque, ha una funzione profondamente politica. Il grande rito nella cattedrale del Santo. Sava. viene celebrata.assieme con P a vie, il Papa dei sèrbi; canti e volute di incenso si incrociano ma poco dopo ènei discorso alla gente che la missione di Aleksij II comincia a disvelarsi. La Nato, dice il patriarca russo con voce profonda, non si muove in difesa delle minoranze «ma vuole distruggere l'ordine stabilito dopo la Seconda guerra mondiale». Anche i fratelli di Jugoslavia però hanno le loro colpe: «Solo una buona volontà che tende alla pace - continua Aleksij - può assicurare una vita libera e dignitosa per tutti, indipendentemente dalla loro religione, nazionalità ed opinione politica. Solo questo può fermare lo spargimento di sangue e preservare l'integrità della nostra patria». Con quel «nostra» Aleksij intendeva sottolineare la comune matrice slava, incoraggiare l'idea del nuovo patto di solidarietà appena siglato fra Jugoslavia, Russia e Bielorussia. Ma c'era molto altro dietro quel messaggio: la parte più attuale e politica è stata riservata all'incontro avvenuto poco dopo al «Castello Bianco» di Dedinje col presidente Milosevic. Qui è forse necessaria una breve digressione. I rapporti fra Milosevic e il mondo della Chiesa ortodossa non sono mai stati sereni: il padrone di Jugoslavia ha sempre considerato i preti elementi lontani e distinti della società, persone con cui tenere rapporti solo quando le circostanze lo imponessero. E' accaduto per lunghi anni rispetto a Pa- vle, il Patriarca di Serbia: anche ieri, l'incontro con Aleksij rispondeva dunque a una logica di necessità. Lo dimostra la dichiarazione finale di Milosevic, che non trova nulla di meglio se non definire Aleksij come «un patriota, un grande combattente per la pace». La dichiarazione presidenziale continua augurandosi che gli sforzi del «patriota» possano condurre verso la pace «e la fine di un'aggressione che non ha alcun fondamento morale né legale e non rispetta alcun prin¬ cipio umano». Questo, quanto alle dichiarazioni ufficiali: nei fatti, il Patriarca di Mosca dovrebbe aver comunicato al capo dei fratelli slavi del Sud alcune sue perplessità e speranze. Non si vede, ad esempio, perché le forze militari che la Jugoslavia ha ammassato in Kosovo non possano ritirarsi, almeno in gran parte, mentre nel frattempo, e in misura speculare, i reparti Nato che continuano ad ammucchiarsi ai confini albanesi e macedoni iniziassero si¬ mili manovre di ripiegamento. Non si vede, spiega il Patriarca, perché nel comune sforzo di pace non si possa immaginare una dichiarazione di intenti in tal senso, decidendo immediatamente dopo che il ritomo dei profughi può essere assicurato anche in una regione ridotta allo stremo, come il Kosovo di oggi. Non si vede ancora perché l'autonomia del Kosovo non possa essere protetta attraverso non la «forza» ma una «presenza» intemazionale. Questo è accaduto ieri nelle grandi sale del «Castello Bianco». Se, come tale, Milosevic ha manifestato disponibilità a discutere su questi punti, nei prossimi giorni l'attività diplomatica del mediatore Cemomyidin potrebbe aprire una nuova corrente di dialogo. 11 Patriarca ha tentato di assicurarsi anche l'appoggio dell'etnia albanese: a sera, prima di ripartire per Mosca, ha incontrato privatamente Ibrahim Rugova, presidente di un Kosovo che non c'è più. Migliaia di belgradesi seguono la Messa concelebrata dai Patriarchi di Russia e Serbia davanti alla cattedrale di Santo Sava A destra l'incontro tra Aleksij II e il leader moderato kosovaro Rugova