«Contro Milosevic è uno guerra etico» di Alberto Papuzzi

«Contro Milosevic è uno guerra etico» «Contro Milosevic è uno guerra etico» // filosofo Walzer: fermatelo a qualsiasi costo intervista Alberto Papuzzi TORINO ON solo la guerra contro la Serbia è moralmente necessaria, secondo il filosofo Michael Walzer, leader della sinistra intellettuale americana, noto in Italia soprattutto per il saggio Sulla tolleranza (Laterza), ma essa richiedeva un impegno più completo con l'intervento fin dall'inizio di truppe di terra. Abbiamo incontrato Walzer al convegno sui diritti delle minoranze, organizzato dall'Istituto Gramsci piemontese, che si chiude oggi pomeriggio con una tavola rotonda sulla guerra. Professor Walzer, questa guerra ha una giustificazione morale? «La questione morale riguarda la necessità di un intervento umanitario, a causa di eventi che hanno profondamente offeso il comune senso di umanità. Esempi di intervento umanitario furono quello del Vietnam contro Poi Pot, quello della Tanziania contro Ambi e quello dell'India per i profughi dell'ex Pakistan. Nessuno di essi avrebbe ottenuto l'approvazione dell'Onu. Furono azioni unilaterali Sustificate semplicemente dal tto die stavano accadendo cose così orrende che chiunque fosse atato in grado di fermarle aveva il dovere di farlo a prescindere dal contesto giudirico». Ma questa azione militare sarà anche efficace, oltre che legittima? «Io credo che non si possa intervenire sul terreno di un paese straniero senza essere pronti ad affrontare tutte le conseguenze, anche quella di rischiare la vita dei propri soldati. Infatti l'azione contro Milosevic sarebbe stata significativamente diversa se fin dall'inizio le truppe Nato fossero state pronte a entrare nel territorio della Serbia. Ritirare le truppe Onu dal Kosovo e nello stesso tempo promettere, come è avvenuto, che non ci sarebbe stato intervento terrestre ha avuto il senso di dire a Milosevic che poteva fare ciò che ha fatto». Nel dramma del Kosovo c'è dunque una responsabilità dell'Occidente? «I serbi probabilmente avevano pianificato la pulizia etnica fin da prima. Però è certo che l'azione della Nato, come s'è svolta, ha facilitato Milosevic. Ciò è da accreditarsi alla fede cieca nel potere dell'aviazione e nelle bombe intelligenti, su cui i generali sono sempre disposti a giurare. Ma criticare l'azione della Nato non significa giustificare Milosevic: va fermato, da chiunque è in grado di fermarlo. La parola può tornare al negoziato solo quando sarà garantito un livello moralmente accettabile dello stesso, cioè che i profughi del Kosovo possano tornare a casa». L'errore della Nato è dipeso solo dai generali? «Il problema è la democrazia: per ogni leader democratico è arduo inviare soldati a rischiare la vita. L'intervento umanitario dell'Ame¬ rica in Somalia venne sospeso non appena furono uccisi degli americani. Le vite di migliaia di africani non valgono la vita di un solo soldato occidentale: ecco la lezione. Ma qua! è allora il senso di avere un esercito e dei soldati?» Come si esce da questa contraddizione? «Spero che ci sia un leader che dica al suo popolo: questi sono i motivi della guerra, queste sono le prove che è necessaria, e questi sono i rischi clie noi dobbiamo correre. Accadde nella guerra di Corea, anche perché a combattere furono mandati i figli delle classi povere». Per Norberto Bobbio, la guerra ò un'espressione della superpotenza dell'America: lei è d'accordo? «Avrei preferito che i governi europei decidessero l'intervento senza aspettare l'appoggio americano, ma non c'è dubbio che la volontà politica dei governi europei e di quello americano appare la stessa. Il che non significa che non ci siano dissensi. Però ci sono anche nella destra: negli Stati Uniti il cuore dei repubblicani è fortemente isolazionista e contrario alla guerra. In realtà questa è la guerra più sostenuta dalla sinistra democratica». Cosa pensa dell'idea di paragonare Milosevic a Hitler? «Penso sia un errore aver bisogno di questo paragone per giustificare l'intervento. Ogni orrore ha la sua specificità e le sue proporzioni. Le vittime di Amin furono relativamente poche, perché le uccideva con il machete. Ma non significa nulla: il punto è che il livello di criminalità che giustifica l'intervento muitare non ha bisogno di analogie». Michael Walzer