Un nuovo fronte, la Vojvodina di Giuseppe Zaccaria

Un nuovo fronte, la Vojvodina LE STRATEGIE SEGRETE DELL'ALLEANZA Un nuovo fronte, la Vojvodina Raid su un 'altra provincia «ribelle» reportage Giuseppe Zaccaria inviato a NOVI SAD Bj L «Banska Palata» brucia dalI l'altra notte. Strano obiettivo, H dal punto di vista muitare: il classico «big shoot» se invece si intendeva colpire qualcos'altro, ovvero un simbolo, un'idea di convivenza che fino all'altro ieri funzionava. La logica dei bombardamenti Nato sembra rivelare, giorno dopo giorno, strategie sempre più sofisticate e lontane dal dichiarato obiettivo iniziale. Tutte le ultime incursioni continuano a colpire la Vojvodina, la regione più sviluppata e pacifica della Jugoslavia. L'altra notte è toccato a Subotica, cittadina dall'aspetto civettuolo, paragonabile a certi luoghi incantati del nostro Veneto. I cortei di protesta organizzati subito dopo dagli jugoslavi di origine ungherese fanno pensare alle stupite proteste che da noi potrebbero nascere dopo un bombardamento contro Asolo o Mirano. A Novi Sad brucia ancora il palazzo del governo, un edificio «art nouveau» che più del potere di Belgrado rappresentava la tradizione di autonomia di un luogo abituato a vivere in pace. Le incursioni però si ripetono, e alla sorpresa comincia a subentrare il sospetto. Se il Kosovo è obiettivo comprensibile, se Belgrado può essere obiettivo simbolico, perché prendersela con la regione autonoma che meno di tutte ha a che vedere con il problema delle minoranze e le trame del regime? C'è una logica in tutto ciò? Secondo Bosko Perovic, 42 anni, presidente della regione autonoma della Vojvodina, una logica esiste e comincia a disvelare scenari allarmanti: «Qui si stanno gettando le basi per una nuova struttura della federazione jugor slava: certe intenzioni si possono solo intuire, altre temere, ma tanto accanirsi contro un luogo come questo può solo preludere ad attacchi ancora più violenti e decisivi». n dottor Perovic è un economista, conosciuto in Jugoslavia per due impervi trattati sulla via socialista allo sviluppo, e fa parte del «Sps», il partito di Milosevic. E' da tempo deputato all'assemblea federale, ma soprattutto da sette anni presidente di un'entità regionale che si è sempre collocata ai margini della realtà politica ed economica di Jugoslavia. Concediamogli dunque un breve «attacco» politico; «I bombardamenti sulla Vojvodina sono parte degli attacchi contro la Jugoslavia. Qui però accade anche qualcos'altro: queste sono le porte del Danubio, e il grande fiume è strategicamente decisivo per tutti i Balcani. Distruggere ponti e infrastrutture significa mettere in ginocchio la vita civile dell'intera regione, renderla terribilmente più povera e complicata. Stroncare là Vojvodina significa rendere impossibile la vita nel resto del Paese». Questa grande regione era stata annessa alla Jugoslavia nel 1918. Da allora ha sempre rappresentato una sorta di isola febee nel turbolento contesto balcanico. Grande serbatoio di produzione agricola, luogo in cui 25 etnie (più di un milione di serbi, 300 mila ungheresi, e poi romeni, ruteni, croati, cechi) convivono civilmente da sempre, la Vojvodina per i serbi ha sempre rappresentato un'entità distante e incomprensibile. Perfino le barzellette popolari conside¬ rano l'ungherese di Jugoslavia ima sorta di marziano: sempre posato, tranquillo, mai disposto allo scontro, sempre alla composizione. Una storia popolare racconta di un signore di Kikinda (profondo centro della Vojvodina), al quale un amico confida: «Guarda che tua moglie ha una relazione col postino». Lui risponde che il postino in fondo è un bel giovane. «Ma anche col vicino di casa», insiste l'amico: beh, si capisce, dopo tanti anni di matrimonio... «Insomma, tua moglie ha amanti in tutta la città». E la risposta suona come: «Kikinda nie tako velika varos...», che significa «In fondo, Kikinda non è poi così grande». E allora, presidente, perché colpire così insistentemente un luogo così pacifico e lontano dalle beghe di Belgrado? «In poche settimane la Nato ha distrutto tre dei nostri ponti e ne ha bombardati altri sotte, ha devastato due raffinerie. C'è qualcosa di incomprensibile in tutto questo, almeno se ci si attiene a quanto la Nato ha dichiarato Imo ad oggi. Devo dunque esercitare la mia mente su ogni possibile ipotesi, sospettare tutti i tranelli prossimi venturi». Quali? «Sfortunatamente per noi, il nuovo governo ungherese e il suo primo ministro hanno cambiato atteggiamento, e non solo perché sono entrati a far parte della Nato. La loro idea è di riunire tutti gli ungheresi che vivono fuori dei confini, in Vojvodina come in Romania. Proprio in questi giorni, anche se in Occidente nessuno se n'è accorto, quattro province ungheresi e altrettante romene - tutte quelle di confine hanno deciso di appoggiarsi, di far sapere al mondo che in quest'area si vuole proseguire una vita pacifica e si ripudiano tutti i nazionalismi». Fin qui le dichiarazioni politiche. Quelle degli esperti militari jugoslavi preannunciano tutt'altro scenario: distruggere i ponti, tagliare le comunicazioni secondo i generali di Belgrado significa che la Nato sta preparando un altro corridoio per l'attacco di terra. Invadere la Jugoslavia da Nord, ai confini con l'Ungheria, significherebbe trovarsi dinnanzi una grande pianura che si estende fino a Belgrado, anziché le montagne del Kosovo imbottite di «tane» e di cecchini in attesa. Il presidente della Regione «Siamo le porte del Danubio, un punto chiave del Paese» Bombe sul palazzo del governo di Novi Sad: un uomo guarda attraverso un enorme buco nel muro 'e, in alto, un operaio cammina sul tetto dell'edificio squarciato

Persone citate: Bosko Perovic, Milosevic, Perovic