Settecento chilometri attraverso la guerra

Settecento chilometri attraverso la guerra PAI MONTENEGRO RIBELLE A BELGRADO CERCANDO DI EVITARE GLI OBIETTIVI DEI RAID Settecento chilometri attraverso la guerra «Oggipiove, gli aerei Nato non potranno buttare i Tombalabomba» Quando si avvicina un ponte Vesko scala la marcia e accelera. Ha scelto strade secondarie, meglio evitare le città. «Non troveremo soldati cattivi, quelli sono in Kosovo». Qualche camion militare coperto da tela mimetica. Le vecchie corriere bianche e rosse della «Suco Tours» che scendono verso l'Adriatico. Le Zastava blu con i poliziotti chiusi dentro, al riparo. Sarà l'Angelo Bianco sul cruscotto, ma la guerra oggi sembra nascondersi. Eppure in Montenegro c'era tensione, il governo di Podgorica teme i rinforzi per la II Armata, i militari di Belgrado hanno appena chiuso le frontiere e vogliono arrestare il vicepremier Kilibarda. «Oggi si può andare, domani non so», dice Vesko. Come mai? «Non so, me lo sento. E Vesko non sbaglia mai». Al valico di Krstag c'è nevischio. L'autoradio non prende notiziari e Vesko infila una cassetta di «Turbo-music», rap e nenia sla¬ ve: «Basta bombe / basta bombe». A Bi jelo Poh'e la strada è bloccata. Che succede, Vesko, un posto di blocco? Accarezza il suo Angelo Bianco, non si sa mai: era un camion carico di maiali finito in una buca della strada. Né polizia né militari serbi. Avanti Vesko, la Serbia di Milosevic e della guerra inizia dopo Metanjac. E se ci fermano? «Al massimo chiederanno una sigaretta». Posto di blocco a Priboj, alt, questa volta i militari ci sono e sembrano decisi. A sinistra, sotto la centrale elettrica, il ponte della ferrovia Belgrado-Bar bombardato l'altra sera: un pezzo è puntato al cielo come una freccia. Due militari si avvicinano. «Apri il bagagliaio!», Tre taniche di benzina, una valigia e un computer. «Ma tu sei Vesko, ciao! Andate a Belgrado? Buon viaggio, e tu tratta bene Milosevic!». Eccola la Serbia in guerra, bombardata e vuota. «Non si vedono auto perché non c'è più ben¬ zina», dice Vesko. Ci sono anche i furbi che la vendono allungata con l'acqua. Fortunato chi lavora in campagna e ha muli e cavalli. Dalla Mercedes si vede una Serbia che ha abbandonato camion e auto lungo le strade, anziani come questo che trascina un'antenna tv, contadine che governano piccole greggi di pecore, donne nei campi e ragazzini che giocano a pallone. Uomini no. Spariti. Chi è tornato nell'Armata e chi è scappato dalla guerra. Spariti come i 300 operai della fabbrica di Elastica a Nova Varos : non è stata ombardata, ma è a rischio. Come quel che resta, a Cacak, della fabbrica di aspirapolvere della Sloboda. Vasko qui non si vuole fermare. «Sono troppo arrabbiati. Non capiscono i bombardamenti a una fabbrica che dà lavoro ai serbi. Che c'entra un aspirapolvere con questa guerra?». Non lo capiscono nemmeno i soldati che bivaccano tra la stra¬ da e il fiume Ljig, armati anche di canne da pesca. Sono quattro riservisti che non hanno voluto o potuto scappare, non hanno facce truci da missione in Kosovo, più che al passaporto s'interessano di trote e salmerini. «Non è vero che stanno bombardando solo obiettivi strategici, come dicono loro. Stanno bombardando il nostro lavoro e la nostra vita», insiste Vesko che adesso scruta il cielo. «Il vento sta portando via le nuvole, tra poco toma il sereno e questa sarà un'altra notte di "Tombalabomba"». Belgrado è a cento chilometri. A Stepojevac, accanto al bar che ha solo caffè turco, stanno dipingendo il tetto con vernice bianca e nera. Vesko s'informa. «Stanno disegnando il cerchio del "target", del bersaglio. Dicono che e per quegli "stronzi" della Nato, così non andranno a buttare i "Tombalabomba" su chi scappa dalla guerra». La Mercedes entra a Belgrado nel silenzio, palazzoni anneriti e camion abbandonati. Al primo semaforo una Golf è ferma al rosso, sul lunotto l'adesivo «Nato, colpisci qui!». E' la sfida di una città che non s'arrende alla guerra. In piazza della Repubblica, alle tre del pomeriggio, ragazzi e bandiere per il concerto rock. All'angolo va a cominciare un torneo di scacchi. Come tutte le sere l'allarme suonerà alle 8, ci sono ancora cinque ore di vita. Le bancarelle vendono magliette, adesivi, spille, cartoline e cappellini. La piccola industria del «Target», ironia e sberleffo alla Nato. Chi ha perso il lavoro s'è inventato questo. Vesko fa acquisti e tornerà a Podgorica: fai buon viaggio, campione. «Lui mi protegge», saluta davanti alla Facoltà di filosofia. Appoggiata al portone una ragazza suona il violino. Dalla libreria arriva altra musica, gli studenti cantano su un vecchio disco. E' «La vie eu rose...». A Belgrado.

Persone citate: Angelo Bianco, Kilibarda, Milosevic, Nova Varos