Metamorfosi di Novelli-Pietro Micca di Raffaella SilipoDiego Novelli
Metamorfosi di Novelli-Pietro Micca Il leader del «no», in diretta fino all'ultimo, involontario eroe della serata tv Metamorfosi di Novelli-Pietro Micca Raffaella Silipo STILE Kafka. Ossia come il rassegnato Diego Novelli, collegandosi una sera con il Tg5, si ritrovò trasformato in vincitore. La metamorfosi del leader del Comitato del «no» in tv, benché in un ruolo «carneo», è una delle cose più gustose della teleserata referendaria. Già, perché Novelli tutto si aspettava men che di vincere: e infatti, subito dopo le prime proiezioni Abacus che davano il quorum per raggiunto, sciorinava con pacato fair play al direttore del Tgl Borrelli frasi chiaramente già pronte: «11 si ha vinto, ma non penso che il mio vecchio amico e compagno Veltroni possa essere contento per un 50% di astenuti». Ora, va innanzitutto ricordato che Novelli ha alle spalle un precedente penoso di testa a testa elettorale condito con disillusione da sondaggi. Giugno 1993, elezioni per il sindaco di Torino: le rilevazioni lo danno nettamente in vantaggio sull'avversario - e allora illustre sconosciuto - Valentino Castellani. Entrato come virtuale vincitore negli studi Rai subalpini, dopo essersi lasciato andare a lieti commenti, a Novelli tocca incassare in diretta la sconfitta sul filo di lana. Quella di domenica, insomma, s'inquadra come una doverosa rivincita mediatica. Rivincita che peraltro Novelli non si aspettava proprio. Lui e la vecchia guardia di sinistra (al momento dei dati definitivi era con Sergio Garaviiù, ex leader di Rifondazione), come hidalgos spagnoli in estinzione, si identificano perfettamente nell'aristocratico schema della bella sconfitta, blasone delle anime bennate. «C'è chi coltiva una cultura dell'uomo forte e delle scorciatoie commenta infatti l'ex sindaco, non a caso tifoso granata - e può anche essere soddisfatto del risultato. Può andare bene a chi porta avanti una politica qualunquista, ma non a chi crede a una democrazia, che significa partecipazione dei cittadini». Come dire, vinca pure la demagogia, i veri democratici restiamo noi. Però, domenica notte, forse per l'onore del blasone, forse per la curiosità di un vecchio combattente per l'esito della battaglia intrapresa, Novelli non va a casa, come il resto del Comitato del No. Resta testardamente e impassibilmente collegato con il TgS di Mentana, pronto ad apprendere i risultati definitivi e ripetere il nobile discorso dello sconfitto: «Io rimango fino all'ultimo, come Pietro Micca». Ma ecco il colpo di teatro. E' l'una, il Viminale comunica dati parziali, ma non troppo. Votanti: 49,7 %. Novelli è stranito, non sa nemmeno se crederci: «Attendia¬ mo il risultato finale. Finora abbiamo vissuto una realtà virtuale, ho sentito trinciare giudizi. Buona educazione vorrebbe che si aspetti la fine per giudicare...». Una e mezza, il quorum non c'è. Novelli sfodera un sorriso abbagliante, da fare invidia alla Caducei. Mentre il quartier generale del «No» incomincia a rianimarsi, fa il padrone di casa: «Abbiamo solo due bottiglie di acqua minerale. Non possiamo brindare!». Si concede anche di graffiare: «Sono proprio contento, adesso Segni e Di Pietro dovrebbero prendersi un anno sabbatico». Scivola persino nel galante: «Regalerò un mazzo di rose rosse a Cesara Buonamici» la cronista del Tg5 che per prima ha dato la notizia. Va bene la bella sconfitta, ma la vittoria, in fondo, non è poi così male... Diego Novelli
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