PRETI

PRETI A Napoli una retrospettiva del pittore calabrese che interpretò, tra Roma e Malta, le suggestioni luminose del barocco PRETI la liturgia dell'eleganza Marco Vallerà NAPOLI |1 giusto in fondo così, che la / grandiosa mostra su Mattia Preti nasca apparentemente in sordina, senza pompe, 1 senza arrischiare spazi appositi o gli abituali allestimenti micidiali che funestano le rassegne di caravaggeschi. Ma invece come naturalmente allacciandosi su di lui, inciampando quasi nel suo incanto scuro e scosso, attraverso le magnifiche sale del secondo piano appena restituito di Capodimonte, in quella scoperta solenne, come di un vero Louvre del Meridione. La scelta intelligente, da parte del sovraintendente Spinosa e della curatrice Mariella Utili, di far fiorire un artista all'interno del suo contesto museale: non isolandolo come un eroe solitario. E semmai, felicemente, Briganti consigliava di considerare Preti non certo un provinciale, ma uno «spaesato», che fece di tutto appunto per inserirsi in quel «museo» di suggestioni luminose che stava diventando il secolo Barocco, «irritazione della pazienza classica, dubbio sull'olimpicità» per dirla col poeta Sinisgalli: bacino ricchissimo di forme e di azzardi, cui Preti si abbeverò lungo tutta la vita. Vero San Cristoforo, muscoloso traghettatore di quel torvo Seicento controriformato che conosce con lui spume eleganti e cangiantismi ricchi da damascato banchetto, ove domina, secondo Longhi «l'affioramento armonico delle massa lungo i piani capitali della lucè», ., w, , ' ' \ ,,- Convogliati dunque nella sontuosa- Galleria Napoletana, si proviene dagli incanti fiamminghi e stupefatti di Colantonio, dalle esattezze minerali e possenti di Ribera ci si nutre delle lanugini ancora misteriose del Maestro dell'Annunciazione, ci si la¬ scia abbacinare dagli sbattimenti crepuscolari di Battistello e di Cavallino, ed ecco spuntare il nostro Preti, napoletano adottivo, che pare sgusciare e svettare di tra quei lombi ricchi e sedimi vi, con apporti stupendi, che vengono da musei e collezioni di tutto il mondo. Ed è meraviglioso vederlo evolvere così e reinventarsi accanto ai modelli concertati di Valentin e di quella manfrendiana methodus di stampo caravaggesco, che incontrò a Roma. Poi, passando per Modena, sentirlo letteralmente fremere e vibrare al cospetto dei crepuscolari e croccanti blu guercineschi, che tanto lo influenzarono (anzi, un poco romanzescamente il suo biografo De Dominicis, che volle costruirgli una biografia non meno guascona e alla Dumas di quella di Caravaggio, osò sostenere che il dotato Mattia fu così nevrotico del disegno, che sino ad oltre trent'anni non osò sfidare i colori, per poi cedere, di schianto, quasi come per un'abreazione isterica, proprio nella città del Guercino). E i disegni in mostra documentano questo suo gradus ad Parnassum: questo suo anelare ad una levità pneumatica alla Lanfranco o ancor più alla Cortona, senza dimenticare Poussin e Domenichino, Correggio e Rubens. Ed è incredibile, perché Preti riesce, istintivamente, a far planare questa sua sensibilità neoveneta, luministica, entro la gabbia austera di un impianto caravaggesco. E in fondo influenzabile «rampollo» di museo, Preti rimane, nato nella calabrese Taverna da una famiglia di notabili bigotti locali, che fingono d'avere pure distrutti i documenti, aviti pur di simulare una discendenza nobile che Mattia raggiungerà soltanto come Cavaliere di Malta. E studia e preme e s'industria per divenire «uno dei primi dipintori del secolo corrente», protetto dalla potente Olimpia Madailchini, dai Pamphilij e dal vescovo di Sutri e non a tutti capita da provinciale di essere eletto tra i virtuosi del Pantheon, presenti l'Algardi e Velazquez. Astuto primo della classe ma non odioso, capace anche di fingere d'accontentarsi di poco pur di dimostrarsi devoto alla Chiesa: «Sebene la suddetta mercede dell'opera mia è tenue, intendo nondimeno di farlo per mia particolare devotione verso questa chiesa» e intanto briga per ottenere di più. A vederlo accanto alle grandi machinazioni di nature morte di Recco, hai l'impressione che anche Preti disponga gesti e anatomie e ricchezze, con la stessa dovizia con cui un'ampollosa scena di genere versa sulla tovaglia dello sguardo, conchiglie, crostacei, aragoste. E accanto alle martiri vessate o ai figliol prodighi ancor tutti madidi di polvere e sudore, hai come l'impressione di ascoltare il tintinnar delle monete che ruscellano dalle cornucopie, l'impressione viva del mormorare miracolata delvino. . ' ., ,. Se all'inizio, in quei Concèrti da camera caravaggeschi, c'è come una rigidità spettrale, da manichini, poco a poco la mollezza complice delle sete, la fertilità liquida di una luce veronesiana prende il sopravvento: e quello che nel lombardo era choc religioso, sfondo metafisicamente disertato, si traduce in perizia. Il color terra di Siena bruciato, passa dentro le carnagioni arabe, le rughe stracotte, i costati burrascosi come coste africane. Ed anche quand'egli ci racconta degli episodi raccappriccianti che paiono venire dritti dal Kosovo, come quella testolina di bambini su vassoio, cucinato per vendetta, la liturgia dell'eleganza è tale, che comunque ci ammannisce una solenne confetteria dell'orrore. Decollazioni, Ritorni, Pestilenze Prediche: sono tutti quadri «verbali» questi di Preti, macchine sceniche elaboratissime e studiate, bloccate un attimo prima che si sprigioni il gas dell'azione. Sofonisba si preme il petto prima d'ingurgitare il veleno. Dall'alto del Convitto di Assiilonne, maebethiani stanno per piovere i coltelli. E il colore stregato s'incanta, prima che una voce roca, da Ricotta pasoliniana, urli: «Motore!». "II!1.1! 1 M." "•■Tff" 'r'r"',l> Preti tra Roma, Napoli e Malta. Napoli. Museo di Capodimonte. Tutti i giorni, tranne il lunedì. dalle ore IO alle 19. Fino al 6 giugno. «Adorazione dei magi», 1653-1655, di Mattia Preti: è una delle opere in mostra al Museo di Capodimonte