«lo, vittima del racket e dello Stato»

«lo, vittima del racket e dello Stato» Parla uno dei commercianti di Palermo condannati per aver pagato il pizzo «lo, vittima del racket e dello Stato» «E' ingiusto, non ho mai dato soldi alla mafia» Urlo Abbate PALERMO «Il pizzo? Non ne ho mai pagato, né ho mai ricevuto richieste estorsive in cambio della protezione». Parla Giovanni Moscarello, uno dei dieci commercianti di Palermo condannati sabato mattina per favoreggiamento dei boss. I giudici del tribunale gli hanno inflitto un anno e quattro mesi di carcere perché ha pagato il pizzo alla mafia ed ha negato tutto a magistrati e poliziotti. Moscarello è titolare di un rinomato ristorante caratteristico che si trova nel cuore della «Noce», il quartiere palermitano controllato dalla famiglia di Raffaele Ganci, la cosca che sabato mattina ha subito trentadue condanne per i propri affiliati. «Non ho paura - dice il ristoratore -, ai giudici ho detto la verità, quella di non aver mai pagato tangenti. Non capisco come i pentiti possano aver tirato in ballo il mio nome, è una sentenza ingiusta». Il pentito Aurelio Neri, ex «picciotto» della «Noce» incaricato di riscuotere il pizzo, nelle sue dichiarazioni è stato molto preciso, ha descritto i momenti in cui ritirava i soldi da Moscarello ed i periodi in cui il ristoratore ha versato le somme. A ventiquattr'ore di distanza dalla condanna, Moscarello è tornato al lavoro, fra i tavoli del suo ristorante, a consiglare i clienti sui piatti da ordinare o sul pesce da preparare. «Dopo questa sentenza sono io a sentirmi vittima - sottolinea il commerciante condannato -, resto comunque fiducioso nella giustizia, ci sono ancora due gradi di appello e penso proprio che riuscirò a dimostrare ai giudici la mia estraneità ai fatti». - «Mi accusano di avere versato somme di denaro - prosegue - ma non ci sono riscontri alle dichiarazioni dei pentiti, è tutta una bufala». Mentre la coscienza civile dei palermitani si ribella alla mafia, i commercianti continuano a versare somme di denaro nelle casso di Cosa nostra, contribuendo a finanziare traffici illeciti ed a sostenere le famiglie dei boss detenuti. I commercianti pagano, non si ribellano per paura delle intimidazioni e sono pochi quelli che ammettono di essere taglieggiati. I blitz di polizia e carabinieri contro gli esattori negli ultimi anni sono stati numerosi, tanto da portare in carcere un centinaio di imputati. Ma nelle inchieste giudiziarie non finiscono solo i mafiosi, accanto a loro ci sono pure i commercianti che hanno negato di aver pagato, nonostante le dichiarazioni contrarie rese da chi ha riscosso lo tangenti. Da qui l'accusa di favoreggiamento. II 3 maggio il gup di Palermo Alfredo Montalto dovrà decidere se rinviare a giudizio o no 15 commercianti che hanno negato di pagare. Nei prossimi giorni il giudice per le indagini preliminari è chiamato ancora a decidere su un rito alternativo in cui sono coinvolte sette persone accusate di estorsione e favoreggiamento. Tra di loro vi sono tre commercianti di abbigliamento tra i più noti ed affermati a Palermo: Giovanni Alongi, e i fratelli Mario e Alberto Battaglia, titolari di due negozi «esclusivi» nel centro città. Boutiques in cui, come ha rivelato Giovanni Brusca nel libro di Saverio Lodato «Ho ucciso Giovanni Falcone», si rifornivano tutti gli uomini di onore della città negli Anni Settanta e Ottanta. Secondo l'accusa Alongi, e i due Battaglia, «avrebbero aiutato gli altri quattro indagati, presunti mafiosi, ad eludere le investigazioni che li riguardano omettendo di riferire alla polizia giudiziaria, in sede di sommane informazioni, circostanze decisive ai fini dell'accertamento della verità. Per questo sono accusati di favoreggiamento. I commercianti hanno negato di aver versato somme di de¬ naro agli estortori ed in particolare una tranche di nove milioni di lire in occasione delle festività natalizie dell'anno scorso. In quell'occasione, secondo l'accusa, si sarebbero presentati da Alongi due esattori chiedendo che il commerciante raccogliesse la cifra anche per conto dei Battaglia e di un barista di via Volturno. Alongi ed i Battaglia sono, però, stati smentiti dalle dichiarazioni dei collaboratori Marcello Fava, Giuseppe Landolina e Giuseppe Arena. A Palermo i commercianti continuano a versare somme di denaro nelle casse di Cosa nostra contribuendo a finanziarne i traffici Illeciti

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