«Diabete, è emergenza mondiale»

«Diabete, è emergenza mondiale» «Diabete, è emergenza mondiale» Sotto accusa alimentazione e abitudini sedentarie Gabriele Beccaria E' stato il tramonto di un Eden e la nuvola nera che ha oscurato tutto si chiama diabete. Accadde a Nauru, l'atollo del Pacifico stravolto dalla scoperta negli Anni 50 di immensi giacimenti di fosfati. Gli 8 mila abitanti abbandonarono di colpo pesca e agricoltura per godersi le rendite garantite dall'uomo bianco. Che con i dollari portò hamburgher appiccosi, patatine troppo fritte e immonde salse. I nuovi cibi e la sedentarietà indotti dalVimprowisa ricchezza fecero esplodere fianchi e stomaci. Finché, un giorno, gli eredi dei primi navigatori oceanici trovarono nelle loro carni ingrossate il regalo duraturo del Progresso: il diabete, arrivato a devastare sei persone su 10. Anche i giovani si ammalavano e per la prima volta dal sorgere del loro mondo, 12 mila anni fa, non facevano più figli. Adesso il peggio è passato, la tendenza suicida ha cominciato a invertirsi, ma - sostengono i ricercatori - quell'Eden avvizzito pesa come monito esemplare per l'umanità del prossimo millennio. L'Oms, l'Organizzazione mondiale della Sanità, fa sapere che il diabete si espande velocissimo per il Pianeta, impetuoso come la globahzzazione dei consumi, delle abitudini, delle lingue. 1110 milioni di casi del '94 stanno per salire a 175 (nell'imminente. 2000) e cresceranno ancora a 239 mihoni nel 2010, fino al picco di 300 nel 2025. Anche se e prudente non spingersi oltre nel tempo, i dati disegnano un'ennesima emergenza sanitaria (insieme, per fare un esempio di alto impatto, con quella degli emergenti supervirus e superbatteri). A casa nostra, in Europa, dicono le proiezioni che dai 18 milioni di diabetici (di cinque anni fa) passeremo a 23 nel 2000 e a 28 nel 2010. Negli Stati Uniti, leader mondiale anche in questa cupa classifica, i colpiti sono il cinque per cento della popolazione e aumenteranno a un tasso dell' 11 per cento. Nemmeno Africa (più 55 per cento) e Asia (più 46 per cento) saranno risparmiate. Davvero non c'è più spazio per alcun Eden. Certo, in questo caso, l'impatto emotivo immediato non è paragonabile a quello suscitato dai ceppi di batteri resistenti agli antibiotici e dalle spaventose agonie provocate da virus come Eboia o Marburg. Ma basta scorrere la ricerca messa insieme dau'Oms per allarmare anche i non addetti ai lavori. Sebbene la sua mortalità sia più bassa che in passato (per fortuna), la nuvola nera del diabete è tremendamente insidiosa: la malattia - l'alterazione del metabolismo degh zuccheri dovuta a un'insufficiente produzione di insulina - si rivela spesso quando è ormai avanzata e le sue conseguenze (purtroppo) sono ad ampio raggio. Comprendono: retinopatie (con rischio di cecità), cardiopatie ischemiche (con rischio di infarto), arteriopatie degU arti inferiori (con rischio di occlusione delle arterie), nucroalbuminuria e microproteinuria (con rischio di insufficienza renale), neuropatie periferiche (con rischio di lesioni alle terminazioni nervose). Siamo quindi di fronte a un problema di prima grandezza, che - secondo d recente congresso «Diabete Paris 99», raccontato da «Le Monde» - richiede una politica sanitaria finalmente mirata. Alimentazione «leggera» e attività fisica regolare, assieme a estesi screening: ecco la triade necessaria per mettere il diabete sotto controllo, dicono i medici, che chiedono allo stesso tempo maggiori finanziamenti pubblici. Già oggi assorbe l'otto per cento del budget della Sa¬ nità dei Paesi europei e - come si è visto - la cifra non ha frenato il progredire dell'«epidemia». Questa «epidemia» mondiale è il frutto avvelenato del trionfo del modello occidentale (o della sua copio imbruttita), vale a dire tanto cibo da ingozzarsi e immobilità da tv e computer. E infatti otto nuovi casi su 10 sono del «tipo 2», quello non insulinodipendente: a differenza del «tipo 1 », che si manifesta in genere durante l'infanzia, quest'altro appare tardi, tra i 40 e i 50 anni, ed è scatenato prima di tutto da fattori ambientali. A complicare il quadro, però, e a rendere la nuvola ancora più nera, ci sono i fattori genetici. Se l'eccesso di calorie e la scarsità di moto sono colpevoli accertati, le responsabilità del Dna sono oggetto d'indagine serrato. «Per ora si è riusciti a indentificare solo un piccolo numero di alterazioni - spiega l'endocrinologa Paola Alessandrini -. Una di queste è il "Mody", "Maturity onset diabetes of the young": ha un debutto precoce ed è legata all'anomalia di un gene che regola la produzione di insulina nel pancreas». Seguendo la traccia del Dna nell'Eden perduto di Nauru, alcuni studiosi sono approdati alla teoria del «gene del diabete». Ritengono che i sopravvissuti delle traversate oceaniche fossero gli individui che meglio trasformavano le calorie in grassi: questa caratteristica fu trasmessa di generazione in generazione, fino alle vittime del XX secolo, inondate di hamburger e patatine, si sono ammalate per lo stesso meccanismo d'accumulo che aveva salvato i loro progenitori. Dato che almeno metà dell'umanità porterebbe lo stesso gene dei fratelli degli atolli, c è poco da stare allegri. L'arma biologica che ci ha permesso di vedere il 2000 minaccia di escluderci dal 3000. UNA MALATTIA SILENZIOSA FREQUENZA DELLE COMPLICAZIONI DEL DIABETE DI TIPO 2 Occhi 30% Retinopotie (rischio di cecità) Cuore, arterie 20% Cardiopatie ischemiche (rischio di infarto) Artariopotie degli arti inferiori (rischio di occlusione delle arterie) Reni 28% Microalbuminuria e microproteinuria (rìschio di insufficienza renale)

Persone citate: Gabriele Beccaria, Paola Alessandrini

Luoghi citati: Africa, Europa, Nauru, Stati Uniti