Ma per la Nato resta un buon compleanno
Ma per la Nato resta un buon compleanno Ma per la Nato resta un buon compleanno Aldo Rizzo Mancano ormai quattro giorni a quello che doveva essere 10 storico vertice dei Paesi della Nato, celebrativo di cinquantanni di vita e di vittorie politiche dell'Alleanza. Storico, il vertice di Washington lo sarà, ma per tutt'altre ragioni. Dopo aver vinto la guerra fredda senza dover sparare un colpo, la Nato si trova oggi per la prima volta in una guerra vera, una guerra calda, dalle incerte prospettive. In conseguenza, crescono le critiche e le accuse. Ma molte di esse non sono giustificate. Si dice che la Nato non ha mai trattato seriamente con Milosevic, ma ha solo lanciato degli ultimatum: si dimentica che nell'ottobre scorso era stato raggiunto un accordo, subito violato dal governo serbo, e che anche dopo si è fatto l'impossibile per stabilire un dialogo, che ponesse fine all'atroce pulizia etnica e ridesse autonomia al Kosovo nell'ambito della federazione jugoslava. Si dice che non si è tenuto conto della Russia o che addirittura si è voluto umiliarla: si dimentica che il piano di pace respinto dai serbi a Rambouillet e a Parigi era stato preparato dal Gruppo di contatto, ohe comprende la Russia. Si dice che la Nato ha agito fuori dell'Orni, se non contro l'Onu: si dimentica che il Consiglio di sicurezza è paralizzato dai veti e che 11 piano di pace di Kofi Annan, non dissimile da quello della Nato, è stato anch'esso respinto da Milosevic. E così via. Del resto, se la Nato fosse rimasta a guardare, quante sarebbero oggi le accuse di viltà, d'indifferenza morale... Ciò non toglie che l'Alleanza si trovi, nel suo cinquantesimo compleanno, in una situazione molto difficile. I raid aerei non hanno avuto finora l'esito sperato: anche se bisogna ricordare che nella guerra del Golfo, in un contesto geostrategico molto più favorevole, ci vollero 40 giorni di attacchi dal cielo prima di poter procedere via terra. Già, via terra. Ma questa è un'altra grave incognita, nella guerra del Kosovo. Invece di una passeggiata militare, come in Kuwait, contro l'Iraq, agli americani, e in questo caso agli alleati della Nato, potrebbe profilarsi una trappola «vietnami¬ ta». D'altra parte, la Nato non può perdere la sua prima, vera guerra, non può lasciare via libera al peggior dittatore europeo dopo la morte di Stalin. Su questo sono compatti i governi atlantici, anche se, comprensibilmente, cresce la tensione nei rispettivi Paesi, e soprattutto in quelli più vicini alla guer-, ra. Il «summit» di Washington dovrà placare l'impazienza, riaffermando gli obiettivi di lungo periodo di questo conflitto, primo fra tutti un assetto stabile e tendenzialmente, almeno, democratico di tutti i Balcani (perché questo è il vero problema, se ci fosse la democrazia a Belgrado, non saremmo a questo punto). E poi, alla luce, o all'ombra, della situazione attuale, il vertice dovrà riflet tere sui temi che già si era preposto per il bilancio cinquantennale: i rapporti della Nato con l'Onu, l'estensione o delimitazione, della sua area d'interessi strategici, infine un. riequilibrio d'in-, fluenza tra America e alleati europei (senza dimenticare però che l'influenza discende dalla potenza, e quindi è un compito^esclusivo dell'Europa arrivare a dotarsi di quell'identità e di quella forza politico-militare finora affidate ai discorsi ma non ai fatti). Sì, sarà un vertice storico quello di Washington, anche se non nel senso in cui lo si andava preparando da un paio d'anni. Non sarà un vertice di celebrazioni e ancora meno di festeggiamenti. Però neppure potrà essere un'occasione di recriminazioni, o addirittura, come forse qualcuno vorrebbe, una dichiarazione di fallimento. Per complessa e rischiosa che sia la congiuntura attuale, la Nato resta la più grande alleanza tra democrazie che si sia vista al mondo. L'alternativa alla sua presenza sarebbe peggiore di ogni suo insuccesso o infortunio. Sarebbe la «balcanizzazione» dell'Occidente e quindi del mondo leci- I
Persone citate: Aldo Rizzo, Kofi Annan, Milosevic, Stalin
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