Polemiche di guerra dal fioretto alla clava

Polemiche di guerra dal fioretto alla clava TACCUÌNO PACSFISm Polemiche di guerra dal fioretto alla clava Pierluigi Ballista LA guerra deve necessariamente indurre chi la commenta a mimarne la rude sbrigatività e l'esplicita violenza? E' vero che la guerra abitua sempre a un costume di perentorietà e di approccio brutalmente aggressivo alle cose e alle opinioni (altrui). Ma la guerra «etica», la guerra «umanitaria», la guerra che non vuole essere guerra ma missione salvifica per estirpare il bubbone del Male accentua ancor più l'inclinazione alla squalifica murale dell'opinione dissenziente se addirittura non arriva a trasfigurare la bellicosità verbale in esercizio virtuoso. E' vero, non c'è nulla di peculiarmente «etico» ma semplicemente di francamente grottesco nella pugnace richiesta dell'Ordine dei giornalisti di Roma di'Ciociare per rappresaglia dall'Italia i giornalisti serbi se Belgrado non chiederà scusa per i maltrattamenti subiti da Lucia Annunziata. Però è indicativo di un clima in cui all'evidente e inqualificabile sopruso commesso dalla polizia di Milosevic ai danni di una giornalista che stava svolgendo con onestà il suo mestiere si risponde con una nota ufficiale dei giornalisti italiani in cui si esortano i colleglli col motto «facite 'a faccia feroce»: grottesco ma sintomatico. Non c'è invece niente di grottesco nell'evidente alterazione di un giornalista e commentatore apprezzato per il suo equilibrio e la sua ironica mitezza come Wlodek Goldkorn che sull'Espresso ostenta chissà perche un vòlto di algida indifferenza per le indubbie sofferenze patite dalla popolazione civile di Belgrado sotto i bombardamenti Nato: «Poi piangono, come i tedeschi sotto le bombe alleate a Berli¬ no». Dove la stupefacente analogia tra Hitler e Milosevic (discussa dallo stesso Goldkorn quando scrive delle «differenze tra il regime nazista e quello di Belgrado») e finisce per trasferii si in un paragone tra i berlinesi che «sapevano tutto» e i serbi che saprebbero tutto della deportazione degli albanesi. Una tendenza bellica alla brutale semplificazione che suggerisce a Giampaolo Pensa, giornalista che coltiva sì il gusto della polemica acre e sanguigna ma senza trascendere sul terreno dell'aggressione non ingentilita da un minimo di fair- play e di eleganza nel duello, di oltrepassare con una certa baldanzosa movenza guerresca la soglia del buongusto attaccando così sull'Espresso l'esponente neo-comunista Nichi Vendola: «Ma chi se ne importa delle patumie furiose della signorina Nichi, zitellona infoiata per un macho serbo chiamato Slobo». Un pezzo di antologia dello humour da caserma che sta a indicare come la guerra, la sua propensione alla risoluzione dura delle controversie, possa condizionare lo stile anche delle polemiche giornalistiche. Se la guerra durerà a lungo, tra i guasti «collaterali» rischia di venir annoverata anche la fine della polemica dura ma «pacifica».

Persone citate: Giampaolo Pensa, Goldkorn, Hitler, Lucia Annunziata, Milosevic, Nichi Vendola, Pierluigi Ballista, Wlodek Goldkorn

Luoghi citati: Belgrado, Italia, Roma