San Rossore (di vergogna) di Filippo Ceccarelli

San Rossore (di vergogna) San Rossore (di vergogna) Filippo Ceccarelli VARIETÀ' della storia e malinconica burocrazia dei passaggi di proprietà. Dai Medici, perciò, alla casa di Lorena, dai Lorena ai Savoia e dai Savoia alla Presidenza della Repubblica che per più di quarant'anni, con alterne fortune, lussi sfrenati e cupa desolazione, ha gestito una delle più belle aree naturali della Toscana, quella fascia di costa, di macchia e di pini che va dall'Arno al Serchio e ha nome San Rossore. Bene: il 7 aprile, con un voto che gli eventi bellici e le impellenze referendarie hanno quasi del tutto messo in ombra, il Senato ha approvato un disegno di legge per cui il Quirinale, praticamente alla scadenza del settennato scalfariano, si priva della tenuta di San Rossore regalandola alla Regione Toscana. Si tratta di una scelta probabilmente inevitabile. L'ecosistema era in cattive condizioni; la costa in progressiva erosione; daini e cinghiali in sovrabbondanza: La Presidenza della Repubblica fa un passo verso il decentramento; mentre la Regione si occupa istituzionalmente della salvaguardia ambientale e amen. Su-questa linea si sono orientati il governo e la maggioranza. Per l'opposizione, con una veemenza che ha spinto il presidente dell'assemblea a richiamarlo, solo il professor Ettore Roteili, di Forza Italia, si è scagliato contro il provvedimento e la presidenza. «Il trasferimento della proprietà - ha tuonato - è la dimostrazione scientifica dell'incapacità del Quirinale di amministrare la cosa pubblica. Non esiste in Italia una pubblica amministrazione che sia amministrata peggio». Ed è la più privilegiata. San Rossore: ma di vergogna, secondo l'invettiva di Roteili. Più che decentramento, si tratta di «scaricamento»; più che una «generosa donazione» è un modo di «sbolognarla» ha concluso. Chi l'avrebbe mai detto. I Quando i Savoia abbandoI narono il Quirinale, i loro ultimissimi debiti (per il referendum: c'erano fatture anche per l'acquisto di distintivi con nodo e corona) furono saldati dalla Repubblica con la vendita dei pinoli di San Rossore. Anche nel 1946 la tenuta non era in buono stato. La villa rasa al suolo, durante la ritirata dei tedeschi un gruppo di mongoli aggregati alle SS aveva divorato gli ultimi dromedari medicei nominati da D'Annunzio nell'-AZcyone. Una decina di anni dopo fu Giovanni Gronchi, cne era di quelle parti, a riprendersi San Rossore e a trasformarla in una reggia, in un luogo di capricci, svaghi e divertimenti di corte democristiana - e per la verità anche in una maestosa e costosissima garconnière, come fa capirei! bel libro di memorie dell'ex funzionario del Quirinale Matteo Mureddu. Fu ^riedificata una villa molto più elegante e confortevole di quella dei Savoia; furono investiti miliardi in darsene, imbarcaderi, attrezzature da pesca, campi da bocce, teleferiche, pozzi artesiani, linee elettriche, impianti telefonici, 13 ponti e 15 chilometri di strade asfaltate. Anche per questo Gronchi fu chiamato «il Granduca». Tornarono pure i dromedari. A San Rossore Saragat andava soprattutto a sparare, ma non essendoci selvaggina palustre si fece costruire un laghetto artificiale - e Mureddu annota minuziosamente la carneficina abbattuta nel settennato (cinghiali e daini 2157 capi; fagiani 5525; trampolieri 954...). Leone, Pertini e Cossi) a trascurarono la tenuta. Scalfaro ne fa addirit tura a meno: il che, tutto sommato, è anche meglio intatto I

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