Pecorelli, processo dimenticalo di Giovanni Bianconi

Pecorelli, processo dimenticalo Perugia, si sta per concludere la requisitoria contro Andreotti e gli altri imputati Pecorelli, processo dimenticalo Daipm una raffica di ergastoli? Giovanni Bianconi inviato a PERUGIA Sedulo in prima fila, di fronte ai giudici popolari, c'è Claudio Vitalone, l'unico imputato che non s'è perso un'udienza. Alla sua destra e dietro siedono i due mafiosi, Michelangelo La Barbera e Pippo Calò. Poi basta, tranne un pugno d'avvocati e la sorella della vittima, la signora Rosita. Giulio Andreotti, l'imputato «più eccellente», sta a Roma, ad occuparsi della guerra del Kosovo. Gli altri sono chissà dove. Eppure siamo all'atto conclusivo, la requisitoria dei pubblici ministeri che - in ipotesi, ma sembra un'ipotesi non solo astratta - potrebbero chiedere una sfilza di ergastoli, uno per ognuna delle persone che hanno portato alla sbarra. I due pm. Fausto Cardella e Alessandro Cannovale, stanno parlando da quattro udienze, e nell'Italia del 1999 succede anche questo: che mentre il Paese si interroga e si divido sulla guerra e sul referendum elettorale, sulla presunta mafiosità di Dell'Otri e sul processo Marta Russo, in un carcero nuovo ma mai entrato in funzione piazzato nel mezzo della campagna umbra, un paio di magistrati discutono nella totale indifferenza dell'omicidio di Mino Pecorelli, giornalista «scomodo» ammazzato il 20 marzo di venti anni fa per ordine - questa è l'accusa - di un sette volte presidente del Consiglio, ventuno volte ministro e oggi stimato senatore a vita. Ma nessuno se ne cura. Quando si aprì l'inchiesta - nel 1993, insieme al processo palermitano per mafia contro lo stesso Andreotti - si scatenò un terremoto; oggi si può leggere solo qualche trafiletto di giornale. La requisitoria va avanti a singhiozzo, due o tre pomeriggi a settimana, perchè improvvisamente Calò e La Barbera (il primo accusato di aver fatto da tramite tra mandan¬ ti ed esecutori, il secondo di essere uno dei killer che uccise Pecorelli insieme all'cx-terrorista «nero» Massimo Carminati) hanno deciso di non rinunciare a nessuna udienza. E siccome sono contemporaneamente impegnati in altri processi a Caltanissette^s altrove, a Perugia rimangono som i ritagli di tempo. In precedenza s'erano pressoché disinterssati del delitto Pecorelli, ora vogliono esserci. E se si va avanti cosi, chissà quando finirà la discussione e quando arriverà la sentenza. Ma tant'è. Costretti a rifare ogni volta il riassunto delle puntate precedenti, i rappresentanti dell'accusa stanno ripercorrendo tutte le fasi dell'indagine e del dibattimento che ha portato alla sbarra Andreotti e Vitalone come mandanti, Calò e l'altro boss di Cosa Nostra Tano Badalamenti come intermediari, La Barbera e Carminati nella parte di ese¬ cutori materiali del delitto. E che intendano arrivare a richieste di condanna si può intuire dai toni utilizzati fin qui. «11 nostro timore - hanno detto all'inizio rivolgendosi soprattutto ai giudici popolari - è che si possa ritenere pregiudizialmente assurdo che un ex-presidente del Consiglio venga processato per omicidio. Ma anche i capi di governo possono uccidere per motivi personali, e noi dimostreremo che Giulio Andreotti è stato un presidente del Consiglio diverso dagli altri, per comportamenti e per contatti suoi personali, per una storia non assimilabile a quella degli altri, per vicende che riguardano solo lui e non un partito, una Repubblica o un corpo elettorale». All'origine di questo processo ci sono le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, il quale disse di aver saputo da Badalamenti che l'omicidio Pe¬ corelli l'avevano fatto «loro» su richiesta dei cugini Salvo, nell'interesse di Andreotti. A Buscetta, sostengono i pm, si deve credere non per «un atto di fede», ma perché le sue dichiarazioni «hanno sempre trovato verifiche e riscontri, e quando non sono state riscontrate comunque non s'è dimostrato che fossero false». Don Masino nel 1993 era un uomo libero che aveva pagato tutti i suoi debiti con la giustizia, «e avrebbe potuto tranquillamente disinteressarsi delle vicende politiche e giudiziarie italiane; il silenzio sarebbe stato per lui molto più conveniente». Come per Buscetta, i due pm difendono l'attendibiltà degli altri «pentiti» su cui è fondato questo processo, da quelli di mafia a quelli della banda della Magliana che hanno tirato in ballo l'ex-sonatore andreottiano Claudio Vitalone, che nel 1979 faceva il magistrato a Roma; per questo il processo si celebra a Perugia. Lui, Vitalone, ha semre detto che quei pentiti - Mancini, Abbruciati, Moretti e altri - mentono spudoratamente, e mentre il pm spiega come e perché Antonio Mancini detto «l'accattone» racconta la verità anche quando dice che «l'omicidio Pecorelli fu organizzato dalla mafia nell'interesse di un gruppo politico finanziario di cui faceva parte VitaIone», scuote la testa. Prima o poi parleranno anche i suoi avvocati per smontare l'accusa, ma visti i ritmi del processo è impossibile prevedere quando. Un giorno toccherà pure a quelli di Andreotti, il quale ricorda sempre di avere sulla coscienza tanti peccati, ma non i contatti coi mafiosi né il delitto Pecorelli. La fine del processo che vede un ex-presidente del Consigio accusato di omicidio è solo cominciata. Solo Vitalone non si è perso un'udienza «I pentiti mentono spudoratamente» li senatore a vita Giulio Andreotti A sinistra un'immagine dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli

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