Aspettando Chris, prigioniero a Belgrado

Aspettando Chris, prigioniero a Belgrado NEL PAESE DEL SERGENTE STONE CATTURATO DAI SERBI AL CONFINE MACEDONE Aspettando Chris, prigioniero a Belgrado Un nastro giallo su tutte le 116 case di Capac, Michigan reportage Gabriela Romagnoli inviato a CAPAC (Michigan) L'AMERICA aspettava un eroe, Capac, case e patate piantate nel Michigan, aspetta il sergente Stone. Fanno finta che sia la stessa cosa. Una guerra moderna non ha eroi. Li cerca con fame mediatica, ma non può trovarli. Ci sono solo ragazzi che premono bottoni e studiano mappe. Se sbagliano qualche calcolo e si perdono, vanno molto vicini a diventarlo, come il sergente Chris Stone, che, insieme con due commilitoni, è finito prigioniero dei serbi sul labile confine tra Macedonia e Jugoslavia e adesso accende l'orgoglio, suscita l'angoscia, assurge al ruolo di mito popolare, salvatore dell'onore, figlio della patria. Aspettando il sergente Stone, Linda Eldrod, proprietaria del negozio di fiori di Capac, taglia nastri gialli da appenderò in segno di trepidante vigilia. Sessantasei ne ha fatti, per circondare i grandi alberi sulla Maine Street che corre tra i campi, dividendo le centosedici case del paese. Tutte hanno, all'esterno, una cassetta della posta. Su ciascuna c'è un nastro giallo. Il giornale locale («Tri-City Times») ne ha stampato uno sulla testata. L'editoriale comincia con «La guerra ci è entrata in casa» e finisce citando Oliver Hardy (Ollio): «Siamo andati a cacciarci in un altro bel pasticcio». A infilarlo nell'apposito contenitore è un ragazzo in bicicletta di anni 14, di origine ispanica e di nome Enrique Lopez, che si sente orgoglioso di vivere qui, orgoglioso per Stone e, ancor più, per gli altri due, Ramirez e Gonzales, ispanici come lui, anche se, ricorda: «La televisione non lo ha detto subito, questo, me l'ha fatto notare il proprietario della "Tietida de los amigos", quel negozio là, che di nastri gialli ne ha appesi tre». Quando, invece, prendono tre banditi, la televisione lo dice subito se «due di essi erano di origine ispanica». Enrique pedala via, verso la casa di Kob Weiss, che di guerre ne ha fatta una, trent'anni fa, in Vietnam, ma per lui nessuno mise il nastro giallo, perché, dice: «All'epoca, dopo un po', la gente cominciò a vergognarsi, a pensare che quello che stavamo facendo laggiù fosse sbagliato, erano in ansia per noi, ma non erano orgogliosi di noi, di se stessi, del nostro Paese, così pregavano e basta. Quando tornammo a casa non ci furono feste: abbracci e via a cercare di dimenticare in fretta. Stavolta è diverso. Il sergente Stone redime l'onore di tutti noi soldati. Aspettando il suo ritorno è come se aspettassimo il ritomo di tutti i ragazzi del Vietnam, è come se anch'io stessi aspettando di tornare a casa insieme con lui ed essere, finalmente, festeggiato da tutti». Festeggiato dai ragazzi della scuola dove Chris Stone era, nel 1991, «il più carino e il più pagliaccio». Festeggiato dai due senatori del Michigan, il democratico Levia e il repubblicano Abraham, che non mollano il testimonial e continuano a farsi vedere in prossimità di casa Stone, assicurando che «faranno tutto il possibile», «sono in stretto contatto con i vertici militari», e, soprattutto che «Milosevic non oserà». Aspettando il sergente Stone, Capac spera e prega. La fioraia Linda dice che, due volte al giorno, nel negozio, interrompono le ghirlande, congiungono le mani, abbassano la testa e invocano la Madonna. La perpetua Mary assicura che nel prossimo bollettino parrocchiale del reverendo Van Wormer apparirà una pagina in cui s'invoca la protezione di Maria sul sergente Stone. La medium del paese garantisce che, quando Chris è apparso in televisione, aveva alle spalle un'aura che solo lei ha decifrato: la Madonna è già con lui e se ne sta prendendo cura. La sorella Mary Denise aggiunge che anche Dio è con lui, la fede non li abbandonerà, qualunque cosa succeda, la fede riporterà Chris a casa. Mostra la sua ultima lettera: è datata 15 marzo, arrivata il 28. Scrive: «Mi sto annoiando, passo la maggior parte del tempo seduto a guardia di nulla, guardo una montagna e penso». Pei erano cominciati i bombardamenti e la vita si era movimentata. Il cognato di Chris, Mike, ha fede in lui, perché: «E' uno che finisce sempre quello che comincia. Una volta stavamo riparando l'auto insieme, un lavoraccio. Io dovetti scappare per un impegno, quando tomai aveva concluso tutto da solo: quello non si lascia smontare da nessuno». Questo, a Capac, fa di Christopher Stone un eroe. I ragazzi hanno esposto cartelli con scritto «Go, fight», vai e combatti. Aspettando Stone, tutti si sentono più vicini a una causa, un ideale, una fede. C'era bisogno di un eroe, anche se non è più tempo di eroi. Il Vietnam non ne ha avuti perché c'era da vergognarsene. Dopo, solo guerre così sporche che erano pulitissime. Guerre da non ricavarci un solo film decente. Dagli Anni Cinquanta l'America ha avuto solo eroi civili: i Kennedy, Luther King e, sì, Joe Di Maggio. Icone, modelli di stile, forza del pensiero ed eleganza dell'atto. I suoi eroi di guerra, in Asia, Africa ed Europa, sono stati solo prigionieri. C'è una scena in «Celebrity» di Woody Alien, in cui a una riunione di famiglia il bambino viene invitato a raccontare alla nonna quale personaggio famoso è stato in visita olla sua scuola. Orgoglioso, il ragazzino, cita il nome di un ostaggio a Teheran. La nonna lo guarda e dice : «E per cosa è famoso? Perché si è fatto prendere?». Non ci sono più gli eroi di una volta, nonna. Solo ragazzi che pensano guardando la montagna, fanno il loro dovere, si perdono per strada, si fanno aspettare, svegliano l'orgoglio di un paio di generazioni che hanno cause sbagliate sulla coscienza e poi, alla fine, tornano a una delle centosedici case tra sessantasei alberi infiocchettati. Nella foto grande, mostrata ieri dalla Nato nuove fosse comuni in Kosovo Qui a fianco il sergente Stone catturato dai Serbi nei primi giorni del conflitto