E' Belgrado ma somiglia a Sarajevo

E' Belgrado ma somiglia a Sarajevo VIVERE SOTTO LE BOMBE TRA ROCK E MERCATO NERO E' Belgrado ma somiglia a Sarajevo Irriconoscibile la città dopo 24 giorni di raid reportage Giuseppa Zaccaria inviato a BELGRADO L'autobus «16» ormai non passa più da Karburua, quartiere operaio: fino a dieci giorni fa collegava il sobborgo al centro e quindi ai palazzoni di Novi Beograd, adesso è stato abolito. Non c'è benzina, e molti di quegli operai non hanno più ragione di recarsi al lavoro perché le fabbriche non ci sono più. Fino a 24 giorni fa il servizio urbano di Belgrado contava 1107 autobus, oggi ne restano in servizio 309. Dai depositi qualcuno ha tirato fuori anche «filobus» antidiluviani che gemendo e sferragliando, tra un guasto e l'altro attraversano il centro quasi annunciando il ritorno dell'economia Anni Cinquan- ta. Pochi giorni ancora e quella che fu una metropoli celebrerà - si fa per dire - un mese di bombardamenti. Ieri ricorreva l'anniversario dell'ultima, disastrosa incursione alleata, che il 16 e 17 aprile del '44 liberò Belgrado dai nazisti al prezzo di 2 mila morti: in attesa di essere liberata un giorno da Milosevic, la città continua a sprofondare lentamente in attesa di sapere quanti morti costerà questa nuova libertà ritrovata. Siamo al ventiquattresimo giorno di allarmi e di esplosioni, e molta gente conosciuta prima di questa guerra continua a comportarsi, almeno di giorno, come se nulla fosse stato. Ho sentito dire da molti la stessa cosa: «Mi sembra di vivere in un film, in una realtà sdoppiata». Le stesse frasi che si udivano a Sarajevo nei primi mesi dell'assedio. Belgrado non è ancora Saraje- vo, qui l'assedio si compie intomo ad un intero Paese, le distruzioni sono ancora relativamente limitate, ma le abitudini, la vita quotidiana, il progressivo rinserrarsi delle esistenze cominciano ad assumere andamenti analoghi. Si vivono due vite distinte, oramai. La prima si svolge di giorno, in una normalità allucinata e quasi festaiola, dove tutto viene reso onirico e bizzarro dalla scatenala colonna sonora che sembra assorbire qualsiasi momento, ogni passo. Le musiche invadono la città, i concerti si susseguono in piazza della Repùbblica e poi, alla sera, sul ponte di Bistrik. Alle sette di sera però la vita vera si spegne, e comincia la corsa verso casa. Se qualcosa teneva in vita Belgrado anche nei momenti più bui delle sanzioni, era la vita di notte. Non quella «notturna» che richiede danaro ed una somma di mentalità a loro modo elitarie, ma quella della gente comune. La capitale usava uscire alla sera, incontrarsi nelle osterie o nei bar, passeggiare, muoversi, chiacchierare, comare le barzellette più feroci contro il regime. Questa parte di Belgrado è morta, e per quanto paradossale possa apparire, è la parte che ai belgradesi manca di più. Il regime a volte, molto più spesso i singoli gruppi, cercano di supplire a questa assenza con iniziative che dovrebbero rafforzare lo strano senso diurno di «normalità». Ieri hanno riaperto le banche, ma è consentito di ritirare solo mille dinari al giorno, circa 140 mila lire. Si è disputata la maratona amatoriale, come ogni anno: qualche centinaio di ragazzi ha cominciato ad attraversare la città sotto un acquazzone ed è arrivata che splendeva il sole. Una gara senza vincitori, poiché il gruppo di testa è giunto sul traguardo mano nella mano, come in un simbolico sforzo comune. A Terasje, Siavja e Fontana riaprono tre dei sette «McDonald's» cittadini, che col cadere delle prime bombe erano slati devastati dai nazionalisti. Adesso mostrano un cartello un cartello che dice: «I Mc's di Jugoslavia sono schierati col loro popolo, se questo negozio sarà distrutto è meglio che a farlo sia la Nato». I prezzi sono aumentati dell'uno per cento per decreto governativo, a sostegno dell'annata, ed in generale reggono se si escludono le sigarette (introvabili e carissime, calcolano che il mercato nero muova settecentomila pacchetti al giorno) banane ed arance, schizzate da dodici a quaranta dinari al chilo. L'inflazione stranamente rimane ferma: «Jugoslevia today», bollettino dedicato agli investitori stranieri, continua pateticamente a se¬ gnalare possibilità di affari, ma da giorni registra i medesimi cambi al mercato nero delle valute. E' come se nel comune sprofondare della vita, i belgradesi avessero siglato un silenzioso patto di solidarietà- I bambini non vanno a scuola da più di tre settimane, restano aperti i «kindergarten» solo per le coppie in cui entrambi hanno un lavoro o il cui marito sia stato mobilitato. Ecco forse un altro mutamento da registrare: nella capitale di Milosevic gli uomini cominciano a rarefarsi, quelli giovani almeno. La mobilitazione li ha raggiunti a migliaia e le fonti del regime dicono che questa volta, anziché fuggire, i volontari si sono presentati nella misura di 120 per ogni 100 posti disponibili. Patriottismo o no, le braccia valide cominciano a scarseggiare. La «Beograd Put», azienda metropolitana di trasporti pesanti, co¬ munica che causa penuria di benzina non potrà assicurare la riparazione delle strade né un trasporto confinilo delle macerie. Su «Glas», quotidiano popolare, il vetrario Djuradj di Rakovica fa sapere che sta diventando ricco, e che nel frattempo ha istituito una «linea rossa» per le riparazioni più urgenti: 150 dinari al metro quadro per finestre portate al suo laboratorio, 220 a domicilio. La concorrente «Slakoplan» ha organizzato una squadra di pronto intervento. Tutti avvertono: «Fate presto a cambiare i vetri infranti dalle esplosioni, le scorte si stanno esaurendo». Alla radio, di sera, la gente ascolta il proclama del generale Nejbosa Pavkovic, comandante la Terza Armata del Kosovo: «150 mila uomini aspettano coraggiosamente il nemico». Fino a ventiquattro giorni fa, quanto lontana Belgrado si sentiva da queste cose.

Persone citate: Fontana, Glas, Milosevic, Nejbosa Pavkovic