Rossanda, un'istriana da ammirare di Enzo Bettiza

Rossanda, un'istriana da ammirare TACCUINO SLAVO Rossanda, un'istriana da ammirare Enzo Bettiza Vagamente sapevo che Rossana Rossanda, intelligente e colta signora delle rivoluzioni mancate o sbagliate, l'osse d'incerto origini istriane. Credevo fossi? nata per caso da queliti parti Ho capito meglio come stavano le cose il giorno in cui l'redrag Matvejevic mi ha gentilmente inviato, insieme con tuta raccolta delle sue lezioni al Collège de France sul Mediterraneo e l'Europa, anche tilt, suggestivo scorcio autobiografico di Rossana Rossanda: estratto di un intervento pubblico dedicato a se stessa è alle radici complesse del medesimo Matvejevic Quelle poche ma intense parole, stampate su «Tempo Presente», hanno assunto subito ai miei occhi il valore di una rivelazione inattesa. Ho appreso infatti che Rossanda non è un'istriana casuale, come erroneamente pensavo, bensì autentica in ogni senso: tanto da definirsi «ex» e collocarsi in quella lata «exeità» esistenziale, insieme storica, geografica, genetica, culturale, psicologica, alla quale Matvejevic e io stesso apparteniamo. Insomma, nella sua confessione scorciata, quasi pudica, Rossanda si presenta in maniera libera e sommessa con le stimmate mai cicatrizzate dell'esule istriana. «Sono nata a Pola, e nel passaporto non sanno se scrivere: Pola Italia o Pola Croazia, e dubitano (soggiunge dissacrante e divertila) della mia nazionalità». Mi ho poi colpito che il padre istriano di Rossanda parlasse l'italiano, il tedesco e il serbocroato come mio padre che era dalmata; che entrambi si fossero laureati a Vienna; che ambedue fossero sititi irredentisti; che l'uno e l'altro avessero servito durante la Prima guerra nell'esercito autroungarico cercando di non sparare sugli italiani. 11 punto infine più alto e più paradossale, il più musiliano direi, in cui possiamo riconoscerci tutti noi splendidi bastardi derivati per rami familiari da «un tollerante e un po' stupido impero austroungarico», è (niello in cui Rossanda dice che la nostra è «la più simpatica identità-non identità possibile». Ovvero, l'identità labile delle genti di confine. Identità senza spiccate qualità e virtù nazionali, che predispone taluni all'apertura europea, alla versatilità linguistica, alla tolleranza verso i vicini diversi e simili. Mentre può spingere altri alla ricerca di un'identità più netta e, via via, più rivendicativa, più rancorosa, più chiusa, più etnofobica, infine più sanguinaria. L'istriana Rossanda, in questi tempi arrossati dalle pulizie etniche balcaniche, osserva: «In ogni sentimento di nazione c'è in radice un nazionalismo». E, facendo quasi l'elogio della condizione apolide, conclude; «Sono lieta che i tedeschi non mi abbiano messo al muro anche per non dover gridare: Viva l'Italia!». Come a dire, non mi piacciono molto quelli che oggi gridano «Viva la Serbia!». Quasi sempre ho più ammirato che approvato gli scritti di Rossanda. Questo, non posso fare a meno di approvarlo e ammirarlo insieme.

Luoghi citati: Europa, Italia, Pola, Pola Croazia, Pola Italia, Serbia, Vienna