«E' guerra d'alta quota e sarà lunga e difficile» di Maurizio Molinari

«E' guerra d'alta quota e sarà lunga e difficile» IL GENERALE JEAN ILLUSTRA LA STRATEGIA NATO «E' guerra d'alta quota e sarà lunga e difficile» intervista Maurizio Molinari GENERALE Carlo Jean, alto rappresentante militare presso l'Organizzazione per la Sicurezza e Coopcrazione in Europa, qual è il bilancio di un'offensiva aerea che dura da oltre tre; settimane? «Oli attacchi non hanno pollalo il presidente serbo, Slobodan Milosevic, ad accettare le condizioni di Rambouillct. Quindi e iniziata una guèrra di attrito da alta quota conilo hi Jugoslavia». Quali sono le difficoltà? «A bassa quota ci sono le anni contraeree serbe che sono ancora numerose ed efficaci. E' necessario operare ad alta quota con tutti gli inconvenienti e la minore efficacia che questo comporta, Con i sistemi di guida laser la dispersione delle bombe e molto inferiore uni, per quando riguarda gli obiettivi, il risultato lascia a desiderare». Perché le armi anti-aeree serbe sono sopravvissute agli attacchi? «Perché li; nascondono, le mettono nei boschi, sono molto difficili da individuare». La Nato non ha a disposizione mezzi militari per sfidare a bassa quota le difese serbe? «Non si può scendere fino a quando restano le difese serbe. Altrimenti andremmo incontro ad una perdila mollo alta di aerei. Da qui i tempi di una guerra di attrito che, come dice il presidente sloveno M ilaii Kucan, può dare dei risultati concreti». Insomma andiamo incontro ad una guerra lunga... «La guerra di alla quota durerà a lungo. Tattiche e tecniche di impiego della forza dipendono dalla quantità di perdite che si accetta di subire, che dipendono a loro volta dal sostegno dell'opinioni! pubblica. La strategia non è svincolata dalla politica, l'uso della forza è una continuazione della diplomazia anche se con mezzi meno cortesi. Ogni bomba e un messaggio per Milosevic: o vieni u trattare o ne lanciamo una successiva. La guerra di attrito non andrà, però, avanti all'infinito ma fino al momento in cui le strutture militari serbe saranno rese inattive. Quali altre strade sono possibili se non c'è consenso politico nell'Alleanza per l'impiego forze terrestri?». Non rischia di essere inevitabile l'intervento di terra? «Forse, alla line, ma al momento sembra che i nostri politici non abbiano raggiunto questa convezione sulla necessità della forza terrestre». Crede all'ipotesi di dare vita ad un corridoio umanitario? «Un corridoio umanitario creato con la forza è un'idea malsana: l'obiettivo è farli tornare non uscire. I 28 mila previsti dalla Nato erano una forza di interposizione da impiegare dopo la firma di Kambouilletper proteggere dulia Serbia e ricostruire un Kosovo sotto amministrazione europea». Nove navi russe stanno per dirigersi verso l'Adriatico. Ci sarà tensione con la Nato? «Arrivano per ragioni di politica interna russa. Sono ininfluenti sull'esito dell'operazione e la presen¬ za non avrà ripercussioni sui piani della Nato». L'impiego dell'Esercito di Liberazione del Kosovo può diventare decisivo? «Dipende dalle scelte deila Nato. Siamo davanti al dilemma che già si presentò in Bosnia sul fermare o meno croati e musulmani che stavano spingendo i serbi oltre la Drina, I bombardamenti della Nato fumno intesi da croati e musulmani come un freno alla loro offensiva che stava travolgendo la Repubblica Serbska. Oggi in Kosovo è evidente che un rafforzamento eccessivo dell'Esercito di Liberazione del Kosovo renderebbe più difficile mantenere l'obiettivo di non modificare le frontiere della Jugoslavia». I serbi continuano a colpire l'Albania. Rischiamo l'allargamento del conflitto? «Sarebbe suicida per i serbi allar¬ gare il conflitto, la risposta sarebbe massiccia. Se i serbi colpissero i campi profughi la coesione dell'Occidente ne uscirebbe rafforzata. Credo che i colpi di questi giorni siano stati diretti contro le posizioni dcll'Uck lungo la frontiera». Milosevic tenta di rompere l'assedio proponendo la presenza dì osservatori civili... «Non è una soluzione, è una presa in gira. Le condizioni della Nato sono chiare, precisate anche nei testi tedesco, dell'Unione Europea e dell'Onu. A Belgrado viene chiesta sempre la stessa cosa: accettare lo schieramento in Kosovo di una forza di protezione militare interna¬ zionale per il ritorno dei profughi. Milosevic ha sempre giocato ad appiccare l'incendio per poi fare il pompiere ma ora le condizioni sono tali che non può più farlo». Quanto pesa la guerra delle informazioni sul conflitto? «La comunicazione è un aspetto fondamentale del conflitto. La videopolitica è determinante, quello che sorprende è la protervia di Belgrado in materia. Ma è una battaglia che vincono le democrazie: a lungo andare il pluralismo, che sembra una debolezza, è una forza. Le democrazie difficilmente fanno la guerra ma, quando la fanno, vanno fino in fondo».

Persone citate: Carlo Jean, Kucan, Milosevic, Slobodan Milosevic

Luoghi citati: Albania, Belgrado, Europa, Jugoslavia, Kosovo, Serbia