L'Algeria spaccata in due dalle elezioni di Domenico Quirico

L'Algeria spaccata in due dalle elezioni La capitale blindata, si teme una rivolta. L'opposizione vuole eleggere un contro-presidente L'Algeria spaccata in due dalle elezioni Igenerali sempre più soli Domenico Quirico inviato ad ALGERI La rivolta è durata mezz'ora: poco, troppo poco. Ma era solo la prima volta, la prova generale di quanto succederà nei prossimi giorni, nelle prossime settimane. Algeri, 2 del pomeriggio, piazza del 1° Maggio: sotto un cielo di piombo il luogo dove la gente si riunisce per ribellarsi e per gioire, per il lutto e la festa, palpita di poliziotti con piglio guerresco. Ogni angolo, ogni metro è presidiato, ingombro di jeep e di blindati. Tutto intorno al centro della città il traffico libolle e urta contro posti di blocco e sbarramenti. Da poche ore l'Algeria ha ufficialmente il nuovo presidente, Abdelaziz Bouteflika, candidato privilegiato del Potere militare, eletto con il 75 per cento di voti. E' un'elezione solitaria, avvelenata dal ritiro degli altri sei candidati. Proprio loro hanno convocato i sostenitori per chiedere conto dei brogli che imputano al vincitore, per invocare l'annullamento delle elezioni. E la sfida aperta, l'invito alla piazza a mettere in campo il suo contropotere. Non solo ad Algeri: nelle due capitali della Cabilia perennemente ribelle, Tizi Ouzou e Béjaia, sono scesi in strada in 8 nula. I primi grumi di folla cominciano ad adunarsi in una via laterale, subito bloccati dalla ben pasciuta energia dei poliziotti. L'aria è densa di risentimento, si leva un urlo mezzo liturgico, mezzo guerresco: «Bouteflika assassino». Un popolo assiepato sui balconi e dietro le finestre fiancheggia la folla in strada. Ci sono tutti: i sostenitori di Ibrahimi, islamico raffinato e del suo giovane compagno di strada Djaballah, i seguaci di Amrouche, l'uomo che ha gestito l'agonia del partito unico, gli uomini del berbero Ait Ahmed, e dei due comprimari, El Khatib e Sifi. La rabbia ha ragioni semplici, chiare: «Ancora una volta ci hanno derubato della democrazia»; «C'è sempre qualcuno che continua a decidere per noi»; «Voghamo una cosa sola, la libertà»; «Basta con le truffe dei militari, il popolo deve scegliere e comandare». Un'anziana donna fende il corteo, affronta i poliziotti: «I morti della rivoluzione e della lotta al terrorismo sono caduti invano, Bouteflika vattene!». La gente rugge, spinge, avanza. E' U momento in cui tutto può succedere. Invece arriva sgommando un'auto a cui la polizia fa largo. Scendono tre uomini, sono delegati del cartello dell'opposizione. Con il megafono uno di loro arringa, tranquillizza, promette a chi lo ha accolto con mi boato: «Non dobbiamo cadere in provocazioni, la manifestazione non è autorizzata, i nostri leader si sono riuniti e stanno decidendo quando e dove scenderemo in piazza. Lo saprete a tempo e luogo». I cori si spengono, il piccolo esercito ribelle si annulla nei vicoli, sparisce, soltanto i più ostinati vengono spinti via dalla polizia. In cinque minuti la piazza è di nuovo normale, gonfia di traffico, popolata di giovani che hanno l'aria di voler perdere tempo senza sapere come. La grande sfida, per ora, si è spenta ed è appassita. Ma il braccio di ferro continuerà perché un partito ribelle che non fa paura è un partito morto. Dopo mezzora un nuovo fragore ingombra l'aria del centro: rumori di clacson e di auto, cortei con le bandiere e i ritratti di Bouteflika. Una replica immediata e beffarda dei suoi sostenitori; ma hanno ragione: il loro presidente adesso ha davvero vinto. E allora il vincitore può comparire davanti ai giornalisti e dichiarare un po' beffardo: «Nei Paesi democratici il presidente può governare con il 51 per cento. La mia percentuale è molto rispettabile e mi consente di utilizzare tutte le prerogative della mia carica. Il sostegno del popolo aumenta la fiducia che ho in me stesso». Da ieri ci sono due Algerie: una ufficialmente legale e una ufficialmente ribelle, platealmente distanti e nemiche. Sullo sfondo il terzo protagonista di questa tragedia, il terrorismo islamico, pronto a entrare nel gioco, a dirigerlo, a provocarlo, a sfruttarlo. La prima Algeria esibisce le sue cifre ufficiali, i suoi 7 milioni di voti, giura che sono autentici. Si assiepa dietro il suo presidente e le sue medaglie: il ministro degli Esteri a 28 anni, regista di quella fiammante stagione in cui questo Paese guidava l'armata del Terzo Mondo, presidente dell'assemblea dell'Onu, l'uomo che fece salire alla tribuna l'ancora «terrorista» Arafat. Un politico brillante, intelligente ma che qui molti detestano perché «vecchio». La sua Algeria è quella della continuità, certo, quella governata da una pattuglia di generali che si considerano un'istituzione provvidenziale. Controllano le materie prime e i flussi finanziari, fanno e disfano i presidenti fin dalla liberazione e dicono a chi li critica: ma che volete? Cinque elezioni in quattro anni e la fine del partito unico non vi bastano? Ma non fidatevi: detestano urne e seggi perché sono certi che la loro legittimità viene dalla storia, che lo Stato è un bene di famiglia. Una cattiva immagine internazionale non li spaventa; sanno che alla fine conteranno le concrete cifre degli affali e la paura più grande di un Orco islamista. La Francia, per esempio: ieri ha espresso «preoccupazione per le circostanze in cui si sono svolte le elezioni» e speranze di mi voto pluralista. E' poco; ci si può permettere perfino di protestare per la «ingerenza negli affari interni». Certo quest' Algeria non è solo un ristretto clan. Dietro a Bouteflika e ai suoi voti (veri o gonfiati) ci sono ceti e categorie, l'apparato dello Stato, una piccola e media borghesia, perfino fette di intellettuali che detestano la piazza e il nuovo. La seconda Algeria è per ora opaca, divisa, in via di formazione. Non ha una politica comune, ma solo la forza di un rifiuto quello che Ibrahimi ha letto ieri a nome di tutti: «Noi e il popolo algerino avevamo creduto alla promessa di elezioni oneste e libere. Cora non è stato. Per questo non riconosciamo la regolarità del voto, le elezioni per noi sono illegittime e il potere se ne deve assumere la responsabilità». L'altra Algeria, in fondo, ha già un contro presidente. E' proprio lui, Taleb Ibrahimi, l'islamico moderato, candidato neppure tanto occulto del Fronte Islamico, l'uomo per cui, come nel '91, si sono mobilitate le moschee. E' abile, accorto, ha dietro di sé un esercito e una organizzazione che i suoi compagni di strada non hanno. Sarà lui a tirare le fila del compromesso. O della rivolta. Il nuovo presidente algerino Abdelaziz Bouteflika saluta la folla il giorno dopo la vittoria Prova generale ieri per l'opposizione che ha cominciato a scendere in piazza Il neo eletto: il sostegno del popolo aumenta la fiducia che ho in me stesso