Tra gli uomini del «no» cresce l'onda del non voto di Diego Novelli

Tra gli uomini del «no» cresce l'onda del non voto Tra gli uomini del «no» cresce l'onda del non voto Aldo Camillo ROMA La «Enrico Capuano Band» invoca lo querida presencia del Comandante Che Guevara. Diego Novelli, portavoce del No, si accontenterebbe di quella di Giuliano Urbani, leader della componente anti-referendaria di Forza Italia; ma il professore liberale non se l'è sentita di affrontare le bandiere rosse (e la pioggia) di piazza Farnese. Ecco invece, per questa chiusura di campagna, U presidente del Ppi Gerardo Bianco e il comunista di confessione cossuttiana Sergio Garavini, uomini miti che mai si sarebbero attesi nella vita di sentirsi gridare «assassini» e «schiavi della Nato» dai bellicosi pacifisti di Rifondazione, unico gruppo folto di uno schieramento che collauda già stasera la strategia astensionista di domani. I bertinottiani continueranno a gridare «Fuori l'Italia dalla Nato, fuori la Nato dall'Italia» per tutta l'ora e mezzo dei comizi, placati a tratti dal solo Citto Maselli, che conferma così le doti sedative rivelate come regista. Bianco, in gran forma, evoca con una velata allusione «i personaggi che usano il referendum per tornare sulla scena politica». «Mario Segni - traduce Novelli -, allevato in batteria, tesserato de fin da quando vestiva alla marinara, viene già indicato da Fini Gianfranco come presidente della Repubblica ideale, se vinceranno i Sì. Dopo il Vajont e Irene Pivetti, ci mancava solo quest'altra catastro- fe», è la chiusa messianica del portavoce del No, che attacca anche «la compagnia di giro di professori, industriali, grandi giornali e scrittori presunti colti come Luciano De Crescenzo, che sostiene di votare Sì per non vedere più un governo cadere per un solo voto. Ma sapete di chi era il voto che disarcionò Prodi? Di Diego Masi. E di chi è amico Masi?». «Segni - incalza Garavini - dice di voler ridurre il numero dei partiti, e intanto ne fonda uno suo, l'Elefante, «che con le sue zampe schiaccerà la democrazia». «Voterò no, però comprendo chi resterà a casa», annunciano Bianco e Fausto Bertinotti. Ma Garavini: «Io al seggio non vado proprio». E Aldo Tortorella, capofila della dissidenza diessina (dal referendum e dalla guerra): «L'astensione è un atto di lotta contro tutto quel che non va in questo Paese», compresi i compagni «per i quali andare in Europa significa solo fare la guerra con Blair e Schroeder». Gloria Buffo si smarca fin dall'incipit - «io ho qualche anno in meno degli altri compagni sul palco» - ma non placa i rifondatori - «serva della Cia!» -; il socialista Enrico Boselli si concede appena una capatina tra i manifesti con lo slogan mutuato da Vasco Rossi «C'è chi dice No»; Bianco invece quasi si compiace di «queste bandiere rosse», che sventolano all'accenno «a certi gruppi industriali che guardano con favore al referendum». La pioggia imperversa e scoraggia applausi e partenze per il week-end, ma Novelli non la considera un segno nefasto: «E' dal '48 che sento parlare di perturbazioni elettorali, e ogni volta il clima non ha mai influito sul risultato», assicura, disorientando cronisti e militanti romani con citazioni di proverbi meteorologici in dialetto piemontese. Disertano il palco per la tv Franco Marini - «Io dico di andare a votare No, ma voglio ricordare che la Costituzione prevede si possa non andare a votare» -, Mauro Paissan, che invita a disertare le urne «contro l'unanimismo che puzza di regime trasversale e i giornali che hanno indossato l'elmetto contro l'astensione», e Clemente Mastella, che cita Berlusconi - «verranno sperperati mille miliardi che avrebbero potuto essere spesi per i profughi del Kosovo» - senza indicare la fonte. Isabella Rauti, vestale della Fiamma Tricolore, addita invece come uso alternativo il sussidio per le casalinghe, e invita le donne a boicottare le urne per protosta. Bertinotti sul palco ci sale, e accredita l'enigmatico allarme dell'altro ieri di Bossi («chi vo¬ terà Sì perderà la pensione»): «Se fosse stata in vigore la legge che uscirebbe dal referendum sostiene il leader di Rifondazione -, in Parlamento non sarebbe rimasta nessuna forza contraria al taglio delle pensioni d'anzianità. E nessuna contraria alla guerra». I sostenitori del Sì sono preoccupati per il quorum? «Chi convoca un referendum deve sapersi guadagnare l'attenzione e l'interesse, altrimenti ha perso». Che sia No, quindi: «Per evitare di ritrovarci con due soli schieramenti quasi uguali. E a me - chiude Bertinotti - non piace né la zuppa, né il pan bagnato». Da sotto gli ombrelli, applausi convinti. In piazza a Roma ma l'azzurro Urbani diserta il comizio Rifondazione attacca Sergio Garavini «Schiavo della Nato» Gerardo Bianco Diego Novelli

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