Un telefonino contro i piani del Pentagono di John Keegan

Un telefonino contro i piani del Pentagono Venti giorni di guerra, la Serbia sotto le bombe, l'Alleanza Atlantica sotto esame Un telefonino contro i piani del Pentagono JOHN KEEGA «Il Pentagono ha tirato fuori dai suoi archivi un piano vecchio, concepito per la guerra in Bosnia» John Keegan NELLA sua cupa dichiarazione alla Camera dei Comuni, martedì scorso, Blair ha annunciato che il bombardamento della Serbia proseguirà, e per molto tempo, se sarà necessario. E' comprensibile, quasi inevitabile. Avendo iniziato la campagna senza un esercito a portata di mano, l'Alleanza atlantica deve o continuare con i bombardamenti o desistere del tutto dal suo tentativo di impressionare i serbi. Se anche incominciasse subito a mettere insieme una forza in grado di tener testa all'esercito jugoslavo (JA), dovrebbero passare parecchi mesi prima che le truppe siano in posizione. Inoltro gli sviluppi della campagna militare hanno reso più - e non meno - difficile piazzare una forza del genere. L'annuncio della Macedonia, che non consentirà l'uso del suo territorio come base per operazioni offensive nel Kosovo, lascia l'Albania come unico punto d'ingresso nel teatro delle operazioni. Questo non aiuta molto. Sebbene l'Albania abbia una frontiera comune con il Kosovo breve e sebbene il suo governo abbia messo il Paese e le suo risorse a disposizione della Nato, la sua topografia montagnosa la rende inadatta allo spiegamento di ampie forze meccanizzate. E' inutile lamentarsi ora che i problemi potevano essere previsti. Alcune cose non potevano essere previste, compreso l'irrigidimento della Macedonia e, soprattutto, la subitaneità dell'aggressione serba contro gli albanesi. Sarebbe stato prudente rinforzare la presenza Nato in Macedonia come precauzione, lo scorso anno, quando il conflitto tra JA e Uck (l'esercito albanese di liberazione dol Kosovo) si intensificava, e l'orso allora la Macedonia avrebbe concesso quel rafforzamento. Ma questa ò un'ipotesi. Il fatto è che, quando Milosevic iniziò la pulizia etnica di massa, la Nato non aveva mezzi per opporvisi, tranne la forza acrea. Cosi l'inizio dei bombardamenti è del tutto spiegabile. Quello che non e spiegabile è la natura della campagna di bombardamenti che la Nato ha scelto di condurre. Oggi non ci possono essere più dubbi sul fatto che l'aggrossionc della Serbia dentro il Kosovo è stata attentamente pia¬ nificata. Un milione di persone non vengono cacciate dalle loro case se non c'è una programmazione. Analogamente, una campagna aerea della completezza e della complessità di cui siamo testimoni non poteva essere lanciata senza preparativi. I primi incontri stampa della Nato parlavano di «un elenco di obiettivi». E già questo rivelava che c'era stata pianificazione. Ma perché i pianificatori sono stati in grado di assicurare l'appoggio politico a un programma di bombardamento che ha fatto cosi poco per impedire la pulizia etnica e, ancor più grave, era assolutamente inutile per quello scopo? La dottrina del «controllo aereo» ha una lunga storia. Iniziò nel 1920 nell'Iraq, allora sotto mandato britannico, quando Trenchard, il primo capo dell'aviazione, promise a Churchill, al- lora segretario di Stato per la guerra, di schiacciare la ribollione irachena attraverso la sola forza aerea. Non funzionò. Per pacificare la regione, si dovettero inviare truppe britanniche e reclutare localmente una milizia. Quella campagna rivelò anche la legge delle conseguenze involontarie, quando vennero colpiti innocenti mentre i veri bersagli sfuggirono. La morte dei 75 rifugiati, come risultato dell'attacco Nato contro coloro che li tormentano, è parte del dilemma della dottrina del «controllo aereo». Non funzionò neppure il più grande di tutti gli esercizi di controllo aereo, la campagna di bombardamenti strategici contro la Germania nella II Guerra Mondiale. E non funzionò in Vietnam. Allora, perché questa campagna di controllo aereo di cui siamo testimoni? Le burocrazie sembrano essere programmate per un'am¬ nesia istituzionale. In questo caso, la burocrazia del Dipartimento di Stato americano può benissimo essere la causa del ritorno a una teoria screditata. Nei primi giorni della crisi bosniaca, il Dipartimento di Stato americano sposò una teoria nota come «togli e colpisci»: togliere l'embargo sui rifornimenti di armi ai musulmani e colpire i serbi con l'aviazione americana. Gli Stati europei vi si opposero risolutamente, e a ragione. A parte l'incertezza del «controllo aereo», si riconosceva da parte atlantica che immettere delle armi in una guerra civile era una garanzia di disastro. Ciò nonostante il Dipartimento di Stato insistette, rinviando così di due anni l'unica soluzione razionale l'impegno di una forza esterna professionale. Resta il sospetto, però, che a quel progetto abbiano lavorato accuratamente sia il Dipartimento di Stato sia il Pentagono, stendendo la Usta dei bersagli, assegnando gli aeroporti, designando gli squadroni per le missioni di attacco. E tutta questa programmazione, ben archiviata, dev'essere rimasta in attesa. Così, quando chiediamo come mai la Nato avesse un piano di bombardamento così dettagliato, la risposta sembra chiara, la metà «colpisci» del progetto «togli e colpisci» era pronta e aspettava al Dipartimento di Stato. Gli esperti di Balcani sono stati capaci di convincere Madeleine Albright, il segretario di Stato, che non è un'esperta di strategie, che la ricetta inutilizzata in Bosnia andava bene per il Kosovo. A sua volta lei deve aver convinto il presidente Clinton, anche lui non esperto di strategie, che il suo dipartimento aveva tutto l'occorrente per portare la crisi del Kosovo sotto controllo. Ecco perché adesso ci troviamo a questo punto. Non si può che simpatizzare con il primo ministro, il segretario alla Difesa e il capo dello staff della Difesa. Stanno lealmente appoggiando la decisione di Washington di realizzare un piano concepito in un'altra occasione, per un altro luogo e in circostanze diverse. Sono colpiti loro, siamo colpiti noi, è colpita la Nato e, per finire, sono colpiti gli Stati Uniti con la loro «lista degli obiettivi». Come ha detto il primo ministro, questo lavoro potrebbe richiedere mesi. Quello che nel frattempo accade nel mondo reale è un'altra questione. John Keegan è storico ed editorialista del Daily Telegraph

Persone citate: Churchill, Clinton, John Keegan, Madeleine Albright, Milosevic