Belgrado respinge il piano di Annan di Giuseppe Zaccaria

Belgrado respinge il piano di Annan Nuovo giallo sul leader albanese Rugova: ha condannato i raid assieme al presidente federale. Ma gli Usa: è prigioniero Belgrado respinge il piano di Annan Giuseppe Zaccaria inviato a BELGRADO La Jugoslavia ha respinto ieri la proposta di pace avanzata dal Segretario generale della Nazioni Unite Kofi Annan, con una lettera in cui ribadisce «la nostra posizione sull'aggressione e la necessità assoluta che questa aggressione venga condannata e fermata». La lettera 6 stata consegnata dall'ambasciatore jugoslavo all'Olili, Vladislav Jovanovic, secondo cui «La proposta del Segretario generale è più o meno una ripetizione di quella del presidente Clinton». E' un colpo alla ancor non iniziata missione negoziale dell'ex premier russo Viktor Chemomyrdin, e a tutti quanti avevano sperato in una rapida soluzione diplomatica. Belgrado ostenta determinazione, e sempre ieri il comandante militare serbo nel Kosovo, generale Nebojsa Pavkovic, ha detto che se la Nato decidesse un intervento di terra, la resistenza sarebbe; accanita. «Ci sono in questo momento sul territorio del Kosovo 150 milH persone in armi. Se un fucile su tre colpisce il bersaglio, questo sarà il prezzo che l'aggressore pagherà», ha detto Pavkovic. Un'invasione comporterebbe «grosse perdite dalle due pioti, in quanto noi ci prepariamo per una guerra popolare generale», ed ha aggiunto: «i responsabili della Nato ingannano la loro opinione pubblica e nascondono le loro perdite», mentre quelle causate alle truppe serbo sarebbero «minime». Può essere un'esagerazione, ma anche il presidente (filo-occidentale) del Montenegro, Milo Djukanovic, ha detto che un intervento di terra «aprirebbe una fase nuova e più difficile della guerra», e comporterebbe un rischio reale che lo spargimento di sangue nel Kosovo si estenda». Belgrado non teme invece di mostrare l'enormità dei danni economici causati dai bombardamenti: cento miliardi di dollari è la stima fornita da un portavoce del ministero degli Esteri jugoslavo. La Jugoslavia di oggi è un Paese quasi del tutto privo di infrastrutture: sono saltate le caserme, poi i ripetitori televisivi, infine i ponti, adesso lo strade. Forse vent'anni non basteranno a ricostruire ciò che 23 giorni di «campagna di guerra» hanno distrutto. E siamo ancora all'inizio: se davvero le incursioni dell'Alleanza Atlantica sono destinate a proseguire per mesi, di questo Paese rischia di non restare più pietra su pietra, e l'intero popolo sarà sospinto verso il Medioevo. I bombardamenti continuano, il bollettino dei «target» raggiimti ogni notte continua a diffondersi come un algido atto notarile: una caserma a Novi Sad, un altro ponte sul Danubio a Smederevo, numerosi altri obiettivi in Kosovo - Belgrado dice che è stato colpito anche un ostello per rifugiati - ancora le raffinerie di Pance vo. A Pancevo, 40 chilometri da Belgrado, c'ò una delle maggiori concentrazioni di industrie petrolchimiche della Jugoslavia, ed ogni notte secondo le fonti serbe i missili della Nato rischiano di provocare ima tragedia. Le concentrazioni di agenti chimichi in quell'area sono elevatissime, la probabilità che esplosioni ed incendi scatenino nell'aria composti chimici letali è molto alta. Se ne era parlato anche nei primi giorni della guerra, nei pressi della capitale serba il rischio-diossina comincia a far¬ si alto. I rapporti delle autorità sanitarie sono meno allarmanti di quanto la propaganda pretenderebbe: alcune «relazioni scientifiche» si limitano a comunicare alla popolazione che la situazione a Pancevo «non presenta rischi immediati», anche se un mutar di vento potrebbe trasportare residui tossici verso la capitale serba, anziché in direzione dell'Europa. La cittadina industriale comunque è devastata: l'incendio che l'altra notte ha divampato nelle fabbriche colpite avrebbe ferito 17 operai. Un motociclista che passava nei pressi è stato sbalzato in aria dall'onda d'urto: uno dei principali centri industriali della Serbia adesso è in ginocchio, alla devastazione si sommerà ben presto la disoccupazione per altre migliaia di persone. Anche il Montenegro, nonostante la profonda frattura politica con la Serbia, ieri è stato preso di mira ancora una volta dai velivoli della Nato. Prima è toccato alla capitale Podgorica, poi ad una serie di obiettivi militari circostanti. Il governo del presidente Djukanovic appare sempre più stretto fra pressioni inteme ed incursioni che certo non contribuiscono alla sua solidità. Ieri sera il governo montenegrino ha lanciato un appello «per un'iniziativa di pace» che somiglia molto ad un grido d'aiuto. Fonti locali parlano dell'abbattimento di un aereo della Nato, ma la notizia non è ancora trovato conferme. In una situazione che appare sempre più appiattita sul linguaggio delle armi, ieri le «proposte di pace» sono pervenute solo da parte serba. Prima è toccato al vice premier Vuk Draskovic lanciare attraverso un'intervista alla Cnn un'idea di soluzione. L'ex oppositore di Milosevic propone una soluzione in due pund: «Noi - dice - siamo pronU a garantire un livello di tenore altissimo e speciale per gli albanesi all'interno della Serbia, ed a sostenere il ritomo in patria di tutti i profughi da ogni parte del mondo». Nessun accenno alle condizioni imposte dalla Nato. Anche Ibrahim Rugova, leader moderato degli albanesi, ieri è ricomparso in pubblico. Ad un giornalista inglese che l'ha visto da vicino il presidente dei kosovari è apparso «molto affaticato ma in buona salute». Rugova ha incontrato il presidente federale Milan Milutinovic ed il vice premier federale Nikola Saiiiovic. Secondo i comunicati di Belgrado «stanno progredendo i negoziati con esponenti albanesi per creare una soluzione politica nella regione». Ma per gli americani Rugova sarebbe trattenuto contro la sua volontà nel Paese. Il ministero degli Esteri: dalla guerra danni per 100 miliardi di dollari Il presidente federale jugoslavo Milan Milutinovic (a destra) durante l'Incontro con II leader moderato kosovaro Ibrahlm Rugova