Alla messa del Papa, al tavolo di D'Alema di Marcello Sorgi

Alla messa del Papa, al tavolo di D'Alema Prima in Vaticano e poi a Palazzo Chigi a parlare di pace e di guerra Alla messa del Papa, al tavolo di D'Alema // messaggio di Wojtyla: non combattete contro Dio Marcello Sorgi Alle sette del mattino una pioggia leggera batte il porticato di San Pietro, vicino al portone di bronzo. Stiamo andando a sentire la messa del Papa nella cappella personale di Giovanni Paolo II, un privilegio non usuale nelle abitudini millenarie della Chiesa, un appuntamento che il Pontefice amministra secondo il suo personale disegno. Una guardia svizzera ci hv troduce ed indica la strada, la pattuglia di volontari di Ernesto Olivero affronta a passi svelti la prima rampa di scale dei palazzi vaticani. Olivero, che è al suo trentatreesimo incontro con il Papa, è qui per un'iniziativa umanitaria volta a ottenere, prima da Milosevic e poi dalla Nato, ascolto ed eventuale tregua. Per cominciare il suo pellegrinaggio, ha chiesto udienza al Papa e a D'Alema. Così, vale la pena di seguirlo mentre va ad inginocchiarsi davanti al signore della pace e a discutere con l'uomo della guerra. Al terzo piano del palazzo, l'appartamento papale si trova di fronte alla segreteria di Stato. Un'anticamera sobria, con sul pavimento una lapide che ricorda Giovanni XXIII. La biblioteca che ha fatto da sfondo a innumerevoli incontri, politici e di fedo: un lungo tavolo al centro, su tre delle quattro pareti, le librerie. E nella quarta, 10 scrittoio del Papa, sovrastato da un grande crocifisso di legno e guardato con rassegnazione da una statua dorata della Madonna. Don Stanislao, il segretario del Papa, è affabile e gentile, si preoccupa di uno degli ospiti, gravemente malato, che ha nioJLto,.bisogno di .aiuto. Poi, quasi subito, siamo introdotti nella cappella papale. Una cappellina circolare, rimodernata da poco più di venti anni, sotto Paolo VI. Sul soffitto, un mosaico di vetri piombati con la scena di una schiera angelica che circonda di gloria il Cristo resuscitato. Una trentina di sgabelli sul pavimento di marmo. Poi l'altare, infisso in una colonna, col crocifisso, tre ceri accesi, un'icona della Madonna di Czestochowa, e ai lati i quadri del martirio di Pietro e Paolo. Il Papa è lì, al centro della circonferenza, inginocchiato davanti a una piccola poltrona di bronzo e raccolto in preghiera. Nella cappella posta proprio di fronte al suo studio privato, e dove appunto Giovanni Paolo 11 è solito ritirarsi a pregare, c'è una forte atmosfera mistica. Un gran silenzio, come se tutto attorno non solo il Vaticano, ma Roma intera fosse ancora addormentata. E d'improvviso, il suono acutissimo di un coro di suore polacche irrompe nella piccola stanza. Allora, richiamato da note e da parole familiari, il Papa è come se uscisse dall'estasi. La sua voce forte si unisce al coro di «alleluia» delle suorine; poi si rialza, pazientemente; e lento si dirige verso l'altare. «Preghiamo!», esorta. E fa seguire all'esortazione, tutte le volte, prima di ogni preghiera, un minuto di raccoglimento. Nella cappella regna tensione, sul volto di Giovanni Paolo II e dipinto un grande dolore. Tutti si aspettano che da un momento all'altro il Papa gridi contro la guerra. Ma il Papa non griderà. E il senso del suo messaggio si potrà cogliere da una delle letture, scelte apposta per questa messa, in cui si racconta degli apostoli. Dunque, gli apostoli vanno da Gesù per chiedergli se possono, reagire agli attacchi dei farisei. Cristo si oppone: se sono cose tra uomini,, spiega, finiranno. E altrimenti, se e un segno del destino, ugualmente non bisogna reagire: «Non combattete contro Dio!», i,. i i io Non combattete contro Dio: questo è il messaggio doloroso scritto sul viso sofferente del Papa, intento a consacrare l'ostia. Don Stanislao, banco dopo banco, somministra la comunione. E tutti riprendono a pregare. Di nuovo, a messa finita, il coro delle suorine torna a riempire con le sue note alte la piccola cappello circolare. Ma il Papa tace, è tornato a inginocchiarsi, la testa stretta sempre più nelle spalle e il viso nascosto dalle mani. Quando riappare in biblioteca, il Papa ha voglia di parlare. «La stampa...», dice avvicinandosi, e sembra quasi cercare le parole. Don Stanislao gli è sempre accanto, e insieme aggiungono: «Una grande responsabilità!». Così è chiaro che è di informazione che stiamo parlando, dell'informazione in questi giorni di guerra. Don Stanislao si avvicina: «E se domani si parlerà male del Papa, la colpa sarà anche di questo signore», scherza indicandomi al Pontefice. «Parlare male? Parlare bene», sorride il Papa, nel suo italiano particolare, e per un attimo senza il suo dolore. Adesso, siamo tutti vicini al tavolo, e la guerra, «il tragico conflitto dei Balcani» torna nel saluto di Giovanni Paolo II, prima della benedizione. Il Papa rinnova «l'appello alla riconciliazione e alla pace»; ricorda quella che Paolo VI chiamava «civiltà dell'amore»; raccomanda «la sfida più radicale del nostro tempo: riconciliare Dio e l'uomo, fede e ragione, contemplazione e azione»; e soprattutto incoraggia a «preparare apostoli del Vangelo per il nuovo millennio, testimoni di Cristo e strumenti della sua pace». L'auto che da San Pietro ci porta a Palazzo Chigi attraversa una Roma trafficata, inumidita dalla pioggia ^appiccicosa che non accenna w Fermarsi. Brevi formalità in portineria, e poi su al secondo piano, dove D'Alema già aspetta nello gronde sala delle riunioni sindacali. All'inizio, prima che la riunione cominci, è un D'Alema d'attacco. A chi lo stuzzica sulla stranezza di quest'incontro tra il capo del governo di un Paese in guerra e una delegazione di pacifisti, risponde secco: «Noi non abbiamo dichiarato guerra alla Jugoslavia. Questo sarebbe contro l'articolo 11 della Costituzione. Stiamo adoperando la forza per convincere Milosevic adaccettare un piano di pace. Ci siamo assunti lo responsabilità che stnnno assolvendo anche altri partner europei. E' normale. E' quel che deve fare un Poese serio. E' una posizione chiaro. Purtroppo è la prospettivo che è oscuro». Scura, appunto, come i pensieri di D'Alema, in questa grigia mattinata romano. D'Alema e Olivero si conoscono, e in pnssoto si sono trovoti insiemi! per iniziative di solidarietà. Ma oggi-il presidente vuolu prima di tutto evitare equivoci sul suo dialogo con i pacifisti: «Sono un uomo di pace - spiega ma il mio compitfSone marciare per la pace. Ci siamo trovati di fronte o una realtà orribile. E' inaccettabile l'ideo di un governo, come quello di Belgrado, che invio l'esercito serbo contro il popolo che dovrebbe essere difeso do questo esercito, provocando uno catastrofe biblica, la deportazione di .seicentomila persone, lo sgozzamene dei padri davanti ai figli, violenze, pulizia etnica. No, tutto questo non è- accettabile». Per ciò, D'Alema, pur rispettando la posizione di chi, sulla base di una convinzione religiosa o etico, sostiene che anche a questi? violenze bisogna opporre una risposta non violenta, ci tiene a confermare il suo punto di vista. «Fuori di qui si potrebbe dire: questo mando i bombardieri e poi appoggio le marce per la poce. Invece no. Bisogna essere persone serie. Sento il peso e la responsabilità di uno scelta libera, tragica, ineluttabile: partecipiamo all'azione militare contro Milosevic. Vogliamo arrivare alla pace, ma per noi la pace comincia dal giorno in cui Belgrado accetto di ritirarsi dal Kosovo e di consentire, sotto un controllo internazionale e sotto un'amministrazione dell'Orni, ai deportati di rientrare nelle loro case e al Kosovo, in prospettiva, di tornare a far parte dello Federazione jugoslava». Fin qui, D'Alema ha parlato tutto d'un fiato, a braccio, lo sguardo fermo sul centro del tavolo delle trattative, le mani su un foglio tormentato dai suoi disegnini, Gli occhi della delegazione di volontari sono tutti puntati su di lui. A poco a poco il salone s'è affollato, tonti ragazzi, una rappresentanza della classe dirigente di Torino, e in primo fila, avvolto nel suo saio, don Nicola, un frate francescano. Per un po', nessuno prende la parola. Tra»di-loco, i-ragazzi, e non solo loro, si chiedono: ma D'Alema è sicuro? C'è un momento di silenzio pesante, poi il MpresidenteBair^GònsigHo* riprende a parlare. «Potete immaginare quanto pesi dire: andate e bombardate. E sapete qual è un'altra coso impressionante? Non siamo riusciti a usare l'orma più formidabile di cui si possa disporre: portare ai serbi. Se questo popolo fosse messo davanti allo verità, se potessimo usare la televisione per informarli! La tragedia di questa guerra è anche questo: i serbi ignorano quel che sta succedendo in Kosovo e vivono i bombardamenti come un'aggressione immotivata». Oru pian piano la discussione è ripresa, il gelo e la contropposizione dell'inizio a un certo punto hanno cominciato a sciogliersi. D'Alema è atteso in Consiglio dei ministri: c'è appena ii tempo di salutarsi. 1 volontari che vanno verso l'uscito e si avviano verso il loro pellegrinaggio, passano per lo solo in cui troneggiano i quadri dei primi presidenti della Repubblica: De Nicola, Einaudi, Gronchi, Segni, Soragat, Leone, Pertini. C'è chi si ferma a guardare i ritratti di un'epoca in cui c'era lo guerra fredda, ma non quella vero di questi giorni. Qualcuno riflette a voce alta sull'incredibile esperienza vissuta in questa brutta mattinata romana: perché sul viso addolorato del signóre della poco, e su quello indurito dell'uomo della guerra, in fondo, si potevano leggere gli stessi dubbi. L'appello del Pontefice dalla lettura del Vangelo Rinnovato l'invito «alla riconciliazione» «Vogliamo convincere Milosevic ad accettare un piano di pace, ma la prospettiva è oscura» Il premier: immaginate quanto mi pesi dire: andate e bombardate... Qui accanto il premier Massimo D'Alema A sinistra il Papa prega nella cappella privata A centro pagina il Pontefice riceve una maglietta dal presidente del Sermig Ernesto Olivero

Luoghi citati: Belgrado, Jugoslavia, Kosovo, Roma, Torino