L'OBLIO CANTINA DELLA MEMORIA

L'OBLIO CANTINA DELLA MEMORIA L'OBLIO CANTINA DELLA MEMORIA Saper dimenticare è una virtù ? IVIAMO in una società ossessionata dalla perdita della memoria; la grande paura di uomini e donne è quella di dimenticare, di non ricordare nomi, persone, luoghi, momenti, emozioni, idee o semplici informazioni; ma anche in termini collettivi, la civiltà occidentale vive nel terrore di perdere il ricordo di se stessa e del proprio passato. Eppure, mai come ora siamo assediati da una inarrestabile crescita di dati, notizie, informazioni, così che il nostro problema non consiste più nel procurarcene di nuovi - cosa che chiunque può fare con grande semplicità ricorrendo a Internet - quanto piuttosto liberarci diquelli in eccesso, che riceviamo in ogni momento, anche contro la nostra volontà, tanto da indurci a credere che la grande arte del futuro non sarà della memoria, bensì dell'oblio. La cosa può essere paradossale, tanto più che l'ossessione della memoria è uno dei motivi centrali della storia europea degli ultimi cinquant'anni, a partire dalle vicende del Secondo fli dil Ti conflitto mondiale. Tuttavia, come scrive Borges, «l'oblio è una delle forme della memoria, la sua vasta cantina, la faccia segreta della medaglia». Nell'oblio, afferma il poeta e scrittore argentino, si concretizza il tempo che scorre; il suo emblema preferito è l'orologio a sabbia, nel cui inarrestabile flusso di rena si riconosce il «magico Lete», il fiume infernale che dispensa oblio alle anime dei morti e grazie al quale si liquefanno i duri contorni dei ricordi di realtà. Per i Greci Lete era la divinità femminile che formava una coppia indissolubile con Mnemosine, dea della Memoria e madre delle Muse; secondo la genealogia, Lete nasce dalla stirpe della Notte e il nome di sua madre è Discordia. Harald Weinrich, uno dei più eminenti linguisti e filologi contemporanei, ha scritto uno straordinario libro sul tema dell'oblio. Lete. Arte e critica dell'oblio che parte da una semplice constatazione: nessuno è risparmiato dall'oblio; nessuno può affermare con sicurezza: questo per me è indimenticabile, non lo dimenticherò mai: «l'uomo è per sua stessa natura un animale che dimentica». La storia dell'oblio è dunque indissolubilmente legata a quella della memoria e attraversa come un serpente inafferrabile l'intera vicenda della cultura occidentale. Al contrario di ciò che si ritiene, il culto della memoria è solo un fatto recente, la ripresa di un valore su cui, nei corso degli ultimi tre secoli e mezzo, era stato gettato un forte discredito. A partire da Montaigne, alla cultura fondata sulla memoria si oppone quella derivata dall'esppripnza, e prende il via un chiaro rifiuto della memoria come strumento di raccolta e stoccaggio (si pensi alla coppia Don Chisciotte-Sancho Panza che incarna anche fisicamente l'opposizione memoria-esperienza). L'autore degli Essais, scrive Weinrich, «crea lo spazio per una percezione dell'oblio come forza culturale non trascurabile della vita pubblica». A chiunque insegni è capitato di incontrare studenti e allievi che oppongono caparbiamente allo studio mnemonico la comprensione di un fatto o problema, come se la memoria fosse di per sé un disvalore. Ebbene, questo luogo comune, che contrasta con ogni tecnica conoscitiva, non è altro che la coda di un argomento sviluppato con grande insistenza in Europa a partire dal XVII secolo; un uomo di genio si reputava potesse tranquillamente dimenticare, e se nella sua provvista di conoscenze fosse mancato qualcosa, egli lo poteva facilmente sostituire inventando qualcosa di nuovo: intelletto e memoria, scrivono i trattatisti a partire dal Seicento, sono fratelli nemici. Lo stesso Cartesio conferma la critica alle mnemotecniche, all'arte della memoria all'interno della quale, scrive il filosofo francese, non c'è spazio per la ragione: razionalismo e illuminismo hanno dichiaralo guerra alla memoria e al suo fedele alleato, il pregiudizio. Emilio, il giovane evocato da Rousseau nel suo trattato pedagogico, «non imparerà nulla a memoria, neppure le favole». Dopo aver sviscerato con grande chiarezza e molta semplicità l'opposizione dei moderni verso la memoria, Weinrich percorre i labirinti dell'oblio procedendo da un episodio all'apparenza marginale della vita di Immanuel Kant, quello legato al nome di Lampe, il suo leggendario servitore, del quale il filosofo di Koenigsberg, nemico dell'apprendimento mnemonico, a pappagallo, ma tuttavia vacillante nella memoria, s'impone di dimenticare anche il nome negli ultimi anni della sua esistenza: Kant fa appello alla memoria per favorire l'oblio. Nelle pagine iniziali del libro, Weinrich richiama le parole di Esiodo e quelle di Ovidio per i quali l'oblio si presente in modo positivo: quando sventure e malanni perseguitano un mortale, l'oblio può essere un vantaggioso agente di guarigione e salute: «Riuscire a dimenticare la propria infelicità infatti è già metà fortuna, come ben sanno nella poesia i tragici (soprattutto Euripide) e i poeti erotici (soprattutto Alceo)». Nell'animo umano, forte è l'ambivalenza tra memoria e oblio. Casanova ne fornisce un esempio efficace in un episodio della Histoire de ma vie, quello di Henriette, così come la storia di Von Camisso, il creatore di Peter Schlemilh, l'uomo senz'ombra, che Weinrich interpreta come una esemplare storia di oblio. Nelle sue letture il filologo tedesco procede per exempia, centoni, brevi narrazioni; il suo scopo è quello di farci intendere la «nuova forza sorta dall'arte dell'oblio» che arriva dritto drillo sino ai profeti dell'oblio, Nietzsche in particolare, ma anche Freud e Proust. Per quanto sia difficile definire la posizione di Nietzsche tra ricordo e oblio, l'autore ci riconia come per il filosofo tedesco la basi; di ogni azione siti proprio l'oblio: dimenticare è sottrarsi alla storia, per fondare ex novo la memoria del futuro. Non è difficile vedere qui l'origine di buona parte del pensiero utopico dell'ultimo secolo. Ma è con Freud che l'oblio ha perso definitivamente la propria innocenza. Per il fondatore della psicoan&iisi «l'inconscio è sempre qualcosa di dimenticato». Indagando gli atti mancati, i lapsus e il linguaggio dei sogni, il medico viennese fonda una nuova arte, in cui il raccontare e il farsi-raccontare sono parte di un'efficace strategia della memoria, tanto che possiamo vedere in lui il teorico di un doppio oblio: quello non-pacificato, precedente al trattamento psicoanalitico, e quello pacificato, che è effetto dell'analisi. In Proust l'oblio costituisce invece una «memoria involontaria»; è una fonila di ricordo positivo che sfugge al controllo dell'intelligenza e della volontà ed è il solo in grado di produrre poesia, duella (li Proust è, scrive Weinrich, «una poetica del ricordo dalle profondità dell'oblio». L'autore della Hecherche all'erma la necessità di quella memoria involontaria che Freud sottopone, al contrario, al controllo della «memoria conscia». Il libro di Weinrich non è però solo un libro che ripercorre un fondamentale e rimosso filone della cultura europea, ma anche un libro a suo modo «politico», dal momento che l'oblio accampa precisi diritti nei confronti della memoria. «Diritto all'oblio, pace dall'oblio?», così s'intitola uno degli ultimi capitoli del volume, dove l'autore - un tedesco nato alla fine degli Anni Venti -, ripercorre alcuni momenti della storia letteraria dell'oblio alla luce delle vicende storiche dell'Europa degli ultimi cent'anni. Pur sottolineando che i grandi conflitti nazionali e mondiali non sono un genere da cancellare dalla memoria dell'umanità mediante un oblio preordinato, alla stregua dei crimini di guerra da essi provocati, Weinrich si domanda tuttavia se non esista anche una pace prodotta dall'oblio. «Saper dimenticare!» è l'esclamazione di uno scrittore barocco che egli cita con forza. La slessa idea di Europa avrebbe bisogno di un ripensamento sia dell'idea di perdono che di quella di oblio. Ma subito dopo Weinrich affronta il problema di Auschwitz e dell'oblio imjio.ssibile. Elie Wiesel della Nolte, libro che contiene non tanto il richiamo ili ricordo («Mi ricorderò sempre»), quanto quello dell'oblio impossibile («Jamaisje n'oublierai»), Primo Levi di Se questo è un uomo, racconto-testimonianza che propone un uso parsimonioso dell'idea di memoria, e Jorge Semprùn, il cui libro s'intitola significativamente Ut scrittura o la vita, sono i ire esempi di quest'oblio impossibile. Ad essi Weinrich affianca un racconto molto bello ili Saul Bellow, // circolo Bellarosa, incentrato sul paradosso della memoria ingombrante e della necessita di dimenticare. La conclusione del libro, che approda inaspettatamente ai lidi della scienza contemporanea (altro luogo dell'oblio), contiene un messaggio di grande saggezza, quello di concilia re oblio e memoria a dispetto dello stesso principio di non contraddizione: «Per riuscirci», scrive Weinrich, «sarà opportuno - con un moderato politeismo - offrire sacrifici sull'altare di due divinità: Mnemosine e I j'te». Ne saremo capaci? Marco Belpoliti Illustrazione di Gustave Dorè per il canto XXXI del Purgatorio, dove Matelda immerge Dante nel Lete perché dimentichi il male fatto: «Tratto m'avea nel fiume infino a gola» Lete contro Mnemosine, in un grande saggio di Weinrich, eminente linguista e filologo. Un labirintico percorso dai Greci a Montaigne, da Kant a Proust: l ossessione del ricordo, l ansia della rimozione impossibile nell'Europa dei crimini di guerra LETE. ARTE E CRITICA DELL'OBLIO Harald Weinrich il Mulino pp.316. L.45.000 ANTEPRIMA ^

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