Il sogno di MONTANELLI di Chiara Beria Di Argentine

Il sogno di MONTANELLI Il più famoso giornalista italiano, alla vigilia dei 90 anni, affida all'amico Bettiza un racconto impossibile Il sogno di MONTANELLI Chiara Beria di Argentine MILANO HnO un grande rimpianto, quello di non aver onorato abbastanza le mie radici. Non sono rimasto fedele al Ile mir> radici. Sai. Enzo, ho un racconto in testa che non riesco a scrivere, è un sogno che via via che invecchio mi ritorna sempre più frequentemente Te lo racconto, Enzo, un giorno lo sci iverai tu». E' inquieto, Indro Montanelli. Alla vigilia dui festeggiamenti per il 90" compleanno, della grande festa organizzata il 22 aprile nella sua Fucecchio (20 mila abilanti tra Pisa e Kirenzel dal Comune e dalla Fondazione che porta il suo nome, il più famoso giornalista italiano, leggendario corrispondente di guerra testimone di un secolo percorso da immani tragedie, confida a Enzo Rettiza il suo grande rimpianto. Parla di Fucecchio, di una villa vicino al bosco e di un altro Montanèlli. Ed è tale la sofferenza che il cronista capace sempre di trovare le parole per comunicare anche i fatti più strazianti, il principe degli editorialisti del Corriere della Sera, lo storico mai accademico, l'uomo geneticamente controcorrente, forse per la prima volta nella sua vita non riesce (o non vuole) mettersi alla macchina da scrivere. Affida così questo racconto impossibile a Bettiza, l'amico, il giornalista che ha condiviso tante battaglie, tanU' avventure, a cominciare dall'addio a via Solferino, nella Milano degli anni di piombo e dell'intolleranza, per fondare il Giornale nuovo. Piove su Milano. Dade finestre di casa Montanelli si vedono due bandiere, sventolano sui tetti dell'Hotel Diana. C'è quella americana messa dall'albergo e il tricolore voluto dal filoamericano Montanelli. Lo immagini dei profughi del Kosovo straziati dalle bombe sono sulle prime pagine dei quotidiani, una pila sul lavolùio accanto alla poltrona. Le avvisaglie dei festeggiamenti disturbano con tutta evidenza un signore che ha sempre snobbato Palazzi e Onoreficenze (rifiutò anche la nomina a senatore a vita). La guerra e Milosevic; Scalfaro e il manifèsto firmato con Bobbio e Scalfari; Longanesi e Malaparte; D'Alema e Berlusconi. Oggi con Bettiza nessuna recita, nessuna parte da festeggiato. E' quasi come ai vecchi tempi («Ricordi, Indro, quando convivevamo da bravo padre e figlio, o marito e moglie, non so come dire, ogni tanto, nei momenti di pausa, nello stanzone del Giornale, ci distraevamo con delle rievocazioni»), c'è spazio per il bilancio di una vita ricca anche di affetti, e, poi, all'improvviso quel sogno. «Scrivelo tu, Enzo». «Ma se lo scrivo ti tolgo il rimpianto?». «No. Ed è qui la chiave. Se non riesco a scriverlo, se non voglio scriverlo, è perché voglio convivere con questo rimpianto». BETTIZA: «Indro, giovedì 22 tutti i tuoi amici verranno a Fucecchio per festeggiarti. Lì sei nato, lì c'è la fondazione che porta il tuo nome e quello dei Bassi, tuoi nonni adottivi e proprietari delle Vedute. Alla fondazione hai destinato tutti i tuoi beni. Perché, allora, tanti rimpianti? Com'è il sogno?». MONTANELLI: «Ci sono io, salgo a piedi la collina che conduce alla villa, in mezzo al bosco. Da bambino il bosco, tra i due paduli di Fucecchio e di Bizantina, era il mio regno. La nostra casa apparteneva alla famiglia di mia madre, i Doddoli, perché i Montanelli erano "andati al meno". Ma io volevo vivere a Le Vedute, la villa dei Bassi. Lui, per 20 anni, fu il sindaco liberale - un fior di forcaiolo come tutti i liberali - di Fucecchio. Per riconoscenza verso mio padre che fece studiare i suoi due figli fui adottato. E, così, andai a vivere in quella villa». BETTIZA: «Eh certo, non dimentichiamo che tu sei un falso popolare. In realtà, sei un vecchio gentiluomo di campagna. Se uno ti vuole trovare dei parenti deve andare in Scozia, in Galles. Ricordo che nelle nostre conversazioni al Giornale mi parlavi di Fucecchio alta e Fucecchio bassa». MONTANELLI : «E' una contrapposizione che c'è ancora. Naturalmente io sono di quella alta, sono un "insuese" e avevo un profondo disprezzo per gli "ingiuesi", quelli di sotto: erano tutti dei parvenu. Oggi tutto è ingiuese. A Fucecchio tomo spesso, ma lì non ho più nessuno, non conosco la gente nuova. Il mio bosco c'è ancora ma pullula di puttane nigeriane che aspettano i camionisti. In paese avevo due amici, mezzo parenti, Lotti e Malvolti, che hanno sacrificato tutto pur di rimanere lì, custodi della memorie fucecchicsi. Vedi, rimorsi per quello che ho fatto nella mia vita ne ho pochi ma soffro di rimpianti per ciò che non ho fatto. Sono stato, per esempio, un buon figlio?». BETTIZA: «Secondo me sì. Ricordo che quando tua mamma cominciava lentamente a spegnersi, tu le telefonavi ogni sera E noi tutti ci dicevamo: "Ouando capiterà chi avrà il coraggio di dirlo a Montanelli?"». MONTANELLI : «Sono stato un buon figlio sul piano materiale ma mia madre voleva soprattutto affetto. Avrebbe preferito meno soldi e più tenerezza...». BETTIZA: «Il tuo sogno, Montanelli. Eravamo a quella villa in collina». MONTANEIXI: «Arrivo fino al cancello della villa, ormai è un giardino dei ciliegi. Entro, suono il campanello e mi viene ad aprire il ine stesso chi; è rimasto li. 'Pale e quale a me, solo più vecchio. Mi dice: "Cosa vuoi?". E io dico: "Vorrei entrare". Dice che non ne ho il diritto. "TU te ne sei andato, hai avuto una bella vita, successi, avventure, donne. Qui sono rimasto io. Vedi le mie rughe? Sono le stesse della villa. Guarda, le tegole cadono, ci sono le crepe nei muri. Sono rimasto solo, non ho mezzi, ma io difèndo questo giardino dei ciliegi. Questo è il mio mondo, tu non ci puoi entrare, non appartieni più a questo mondo"». BETTIZA: «Questo rimpianto smentisce una tua celebre frase: "La mia vita professionale è la mia vita tout court". E, del resto, è usurpata anche la tua fama di grande cattivo. Nella tua vita, secondo me, ci sono stati un cattivo buono che hai ammirato e un cattivo cattivo che hai detestato. Parlo di Longanesi e Malaparte. Dimmi se è vero». MONTANEIXI: «Assolutamente vero. Longanesi ti mordeva da mattina a sera, era un vero persecutore. Ma dietro sentivi l'uomo sofferente. Si odiava soprattutto per la sua statura e aveva come amici due spilungoni come me e Ansaldo. Sognava di essere alto, bello, con il monocolo, e invece era romagnolo e piccolo. Diceva anche che il suo cognome era stato adulterato: in realtà si chiamava von Ganesi. Quanto a Malaparte, salvo le prime cose che scrisse sul Carso, era un fasullo». BETTIZA: «A te Lapelle non piace?». MONTANELLI: «Mi fa orrore. E' tutto falso: Malaparte era un pessimo mentitore. Ai fasulli preferisco i mascalzoni a tutto tondo. Ho persino provato simpatia per i terroristi elle mi spararono, meglio dei cattivi maestri, dei ruffiani, l'essimi mentitori, una caratteristica comune a molti nostri politici». BETTIZA: «Ho letto, però, tue parole di elogio per come si sta comportando D'Alema dall'inizio della guerra». MONTANELLI: «Sì, vista la situazione italiana, si conduce abbastanza bene. Non ti pare, Enzo?». BETTIZA: «Certo, anche perché ha due handicap: il Dna comunista e una maggioranza intenibile. In D'Alema c'è molto realismo to gliattiano, Bertinotti invece è un massimalista, un tipico demagogo italiano e Cossutta è un conservatore». MONTANELLI: «... che non sa più che cosa conservare!». BETTIZA: «Qualcuno potrebbe pensare che è un paradosso. A dieci anni dalla caduta del muro di Berlino, alle soglie del Duemila, Montanelli e Bettiza riconoscono le doti del primo presidente ex comuni- Sta». MONTANELLI: «E' lui che riconosce noi. I comunisti, noi due li conosciamo bene, sono capaci di fare di tutto. Anche del bene. Al suo posto non ci comporteremmo in altra maniera. E' così: noi deleghiano a un ex comunista lo nostre posizioni, diciamo, liberali. E, poi, al povero D'Alema manca anche un'opposizione. Questa destra che destra è?». BETTIZA: «Oggi D'Alema po irebbe essere l'editore del nostro Giornale! Stiamo un po' scherzando e un po' dicendo la verità. Quanto al leader dell'opposizione, a Berlusconi, noi abbiamo conosciuto due Berlusconi. L'editore - vero, Indro? - che ci salvo e che sopportava le tue punzecchiature. Lui che è sadico con tutti con te Indro è sempre stato un po' masochista E poi c'è il Berlusconi che fa stupidaggini politiche». MONTANELLI. «Parliamo d'altro. No, lui a Fucecchio non ci sarà. Meglio evitare altri equivoci». BETTIZA: «Hai firmato con Bobbio e Scalfari l'appello per gli aiuti umanitari alla popolazione del Kosovo. In questa guerra lo scopo umanitario, però, non dico che non sia importante ina è un alibi. Gli americani puntano a eliminare il regime di Milosevic, e i Paesi della Nato non possono ritirarsi. Devono andare tino in fondo». MONTANELLI «Hai ragione E' la morale americana, la monile del Wiinted. Chi ha fatto del male lo si cerca fin sulle Montagne Rocciose. Questa è la morale dell'ultima guerra di un secolo tremendo Ricordo, nella prima guerra di Finlandia, un'immagine che non dimenticherò mai: a Salla, 20 mila russi morti di fame e di gelo perché le formidabili pattuglie del maresciallo Mannerheim, un grande militari" che aveva seguito i corei della cavalleria a Pinerolo, avevano tagliato ogni possibile via ili rifornimento. Ventimila morti (lavanti ai miei occhi, altro che le telecronache di oggi sui missili Nato, che si possono fare anche da Milano. Quella fu una guerra giusta, la ragione e il torto erano talmente chiari». BETTIZA: «Sai Indro, da almeno dodici unni scrivevo che la questione del Kosovo sarebbe diventata la nuova guerra, 'Ditto quello che il comunismo teneva compresso è esploso. La Russia non tratta la pace, l'Onu era ridotto a lare una specie di vigilanza urbana dei massacratori». MONIANELIJ: «E' una tragedia, quei profughi. L'altro giorno ho sentito quell'enorme bischero che sta al Quirinale pontificare come al solito. Diceva che le guerre non hanno mai risolto niente Ma nel '39 se non si faceva la guerra l'Europa sarebbe diventata una colonia tedesca. Oggi temo solo che si sia sottovalutato il carattere dei serbi, la loro capacità di soffrire e di far soffrire. Spesso vinti, mai sottomessi. Quanto a Milosevic, non è Hitler né Stalin né Mussolini. E' un vero serbo, intriso di nazionalismo serbo». BETTIZA: «E' anche un abile manipolatore. Il Kosovo fu una grande disfatta ed è diventalo il mito fondativo della nazione serba. Caro Indro, questo secolo è anche ripetitivo. Ciò che succede nei Balcani smentisce Marx: la storia non ha solo due momenti, la tragedia e la farsa, ma quattro o cinque. E ogni volta è più tragedia, più tragedia, più tragedia. Vero, Indro?»? MONTANELLI: «Sì, ma alla fine sono problemi troppo complessi, troppo vasti e la nostra ragione è solo un fiammifero acceso in un mare di buio. Illumina solo un angolino». Caro Emo, mi sono visto tornare nella villa in collina, a Fucecchio, dove abitavo da piccolo Mi ha aperto il me stesso rimasto lì, tale e quale a me, solo più vecchio E mi ha detto: tu hai avuto una bella vita, questo è il mio mondo, non ti appartiene più 6| 66 Caro Indro, tu sei un falso popolare, in realtà sei un vecchio gentiluomo di campagna E anche la tua fama di grande cattivo è usurpata. Oggi che tutto è cambiato I) 'Alema potrebbe essere l'editore del nostro «Giornale» fi| l| g Indro Montanelli compirà 90 anni il 22 aprile: per quel giorno Fucecchio, il suo paese a metà strada fra Pisa e Firenze, ha organizzato in suo onore una grande festa. Nella foto sopra Enzo Bettiza, amico di tante battaglie e tante avventure, a partire dall'addio al «Corriere», negli Anni 70, per fondare «Il Giornale Nuovo» Nelle foto in basso, da sinistra, Leo Longanesi ("Ti mordeva da mattina a sera, era un vero persecutore", ricorda Montanelli) e Curzio Malaparte (•■Salvo le prime cose che scrisse sul Carso, era un fasullo. ia pelle? Mi fa orrore»)