Il voto virtuale dell'Algeria di Domenico Quirico

Il voto virtuale dell'Algeria Bassa affluenza dopo il ritiro di sei dei 7 candidati alla Presidenza Il voto virtuale dell'Algeria E oggi l'opposizione scende in piazza reportage Domenico Quirico inviato ad ALGERI LE prime elezioni pluraliste a candidato unico, inaugurazione dell'era del presidente eletto per ritiro, a Hydra iniziano presto. Il sole irrompe a ondate impetuose sulla baia di Algeri e già i seggi sono lambiti dalle piccole onde spumeggianti di elettori con passo bersaglieresco e il certificato elettorale in mano. Davanti all'urna, in bella fila, ci sono sette collinette candide di schede, con l'immagine di ciascuno dei candidati. I votanti, scrupolosi, le prendono tutte: ma è solo per finta. Perché sei di loro non ci sono più, sono le impronte burocratiche di presidenti virtuali. I candidati si sono ritirati, infatti, alla vigilia del voto in un minaccioso Aventino, tra un gran fracasso di accuse: non saremo vittime e complici della Grande Truffa, del voto truccato. L'unica scheda che conta, allora, e quella con lo sguardo astuto e il baffo guascone di Abdelaziz Bouteflika, candidato dell'apparato e dell'esercito, delfino del potere, aspirante presidente a dispetto di tutto e di tutti. Hydra è un quartiere di vegetale magnificenza, profumato come i nomi delle sue strade intitolate non a barbuti guerriglieri ma alle mimose. Sdraiata nella frescura di queste ville c'è la nomenklatura di questo Paese, raffinata e affarista, cosmopolita ma giudiziosamente nazionalista. E la gente, il popolo di Bouteflika, a lui hanno affidato la continuità e l'intangibilità del loro mondo, lo hanno scelto capofila, gradevole per biografia e talento, del più grande universale e eterno dei partiti, quello dell'immobilismo. Una signora ingioiellata all'erra le schede degli altri candidati con la ritrosia con cui si commette un atto sconveniente. Ma è più meticolosa del suo futuro Presidente che, nonostante gli ammonimenti degli addetti al seggio, si è rifiutato di stringere in mano le foto dei poco cavallereschi avversari. E' perfino ingenuo chiedere a questi elettori quali saranno le schede destinate ad appassire nel sacco della spazzatura che correda ogni urna? L'aula è talmente fresca e pulita che ti sembra di sentire il vocio allegro della scolaresca. Sui banchetti lillipuziani destinati ai controllori inviati dai sette partiti se ne sta, solitario e giulivo, il rappresentante di Bouteflika: «Gli altri? E chi li ha visti! - suggerisce ossequioso -. Ma state tranquilli, controllo io, non ci sono brogli, è tutto pulito, tutto andrà bene, insh'allah». Le elezioni presentate come una promessa di meraviglie, destinate a introdurre l'ultimo marchingegno della tecnologia democratica, l'alternanza, sono appassite dunque tra beghe e ripicche. Scendiamo nell'altra Algeri, quella dei poveri: addio allo villi; di Hydra, ai suoi elettori soddisfatti che hanno confortato il loro leader con un dignitoso 60%. Sfioriamo un comitato elettorale di Bouteflika, dove già si festeggia (alle 10 del mattino!), assordando di musica sostenitori ed azionisti. La casbali sembra appiccicata ai contrafforti del monte come una manciata di argilla. Sotto i portici quasi lutti i negozi sono occhiaie vuoto, i commercianti sono fuggiti, angariati dal racket dei fondamentalisti fìnti e veri. I vecchi luoghi sono spenti: il cade MakalolT dove ascoltavi la miglior musica chaabi di Algeri è chiuso, deserto. L'avenue 1° Novembre ha decapitato la casbah, l'ha separata dal mare. E ora lei soffoca sempre più scrostata e grigia come la roccia del monte, irreparabilmente lontana dal candore di Algeri. Invece dei vecchi luoghi ti indicano solo angoli di morte: qui hanno fulminato il direttore del giornale El Moudjahid; là è caduto sotto i colpi dei sicari un famoso medico colpevole di essere il marito di un ministro. In quell'angolo dove un vecchio aspetta in questo silenzio di sepolcro con pazienza di musulmano si è chiusa la carriera di Yassine Immani, detto Napoli, feroce Robin Hood dei Già. Che tristezza! E che silenzio nel seggio presidiato da poliziotti vigili e da scrutatori che ripiegano nell'indifferenza quando scoprono che non sei un elettore. Siamo a metà giornata e i registi sono ancora candidi. Qui l'eco dell'appello del presidente Zeroual, votate nonostante tutto, non sembra arrivato. Ieri i sei ribelli sono stati alla finestra, a guardare sogghignando Boutetlika, tenore rimasto senza il coro. Oggi è il loro giorno: con ima marcia pacifica (e vietata) che somiglia ad un atto di insubordinazione. Eccoli qui i sei: Hamrouch, Ibrahimi, Djaballah, Sili, Khatib, e il rappresentante di Ait-Ahmed, convalescente da un infarto. E' il loro ultimo incontro prima della sfida ili oggi. Per la strada ne hanno già perso uno, Siti, poco disposto alle proteste di piazza. Forse non sono ancora loro gli uomini nuovi di cui ha bisogno questo Paese: troppe Mercedes, troppi portaborse, troppi telefonini, troppi rapporti con un pesante passato. Forse ha ragione Mohanied Hadef, uno dei più noti politologi algerini: «I partiti qui sono solo dei nomi, gruppi che diffondono, ahimé, l'incultura politica. Tutti hanno presentato lo stesso programma: paco, riconciliazione, unità. Boni;, magnifico: ma che vuol dire? Pace come? Riconciliazione con chi? Siamo pieni di "isnù": islamismo, progressismo, nazionalismo. Ma se vai in una libraria e coralli un'opera sull'economia islamica, l'organizzazione dello Stato islamico non trovi nulla. Ho percorso 32 mila chilometri attraverso il Paese. Ho trovalo povertà, disoccupazione, arretratezza, mancanza di acqua e di luce. Eccoli i problemi. 11 resto è un lusso». Un'atmosfera surreale: nei seggi venivano distribuite anche le schede dei rivali dell'unico «superstite» Abdelaziz Bouteflika, l'unico candidato rimasto in lizza

Luoghi citati: Algeri, Algeria, Napoli