Quella parolaccia da non pronunciare di Pierluigi Battista

Quella parolaccia da non pronunciare TACCUINO pacifista Quella parolaccia da non pronunciare Pierluigi Battista INTERPELLATO da Repub blica sulla missione degli alpini al confine tra l'Albania e la Jugoslavia, il ministro Piero Fassino ha assicurato che i militari italiani, per carità, non vanno a «fare la guerra». Curiosa rassicurazione, visto che di solito un militare di un Paese in guerra va in una zona-di guerra proprio per fare la guerra. Ma nonostante il fervore etico che anima i sostenitori dell'intervento militare, resta fortissima la propensione a cancellare la guerra dall'immaginazione collettiva rimuovendone virtuosamente la spietatezza e la brutalità. Non è solo ipocrisia. E' soprattutto difficoltà ad accettare l'ideo che stare dalla parte del Giusto e del Bene, come proclamano i fautori dcll'«eticità» dell'intervento Nato contro il «nuovo Hitler», compoi ti anche sofferenze, morte, violenza, panico, sangue. Perciò nel discorso pubblico sulla guerra resta soltanto la figura emotivamente schiacciante e terribile di un popolo di inermi in fuga. Di unu «profuganza», per usare un termine di Carlo Sgorlon sul T(mpo, che sembra vittima di qualcosa di indicibile e disumano, di un cataclisma naturale, di un nemico che è l'incarnazione stessa del Male, di un fanatismo etnico abominevole. Di lutto, tranne che di una guerra. C'è un tratto profondamente italiano in tutto questo, che non è solo l'eterna doppiezza di chi ama disputare sulla partecipazione di aerei italiani nei raid sulla Serbia come se fosse cosa qualitativamente diversa dal pieno e continuativo appoggio logistico ad aerei di altra nazionalità (non ricorda l'orse l'inopinata indulgenza morale per quei brigatisti che. non avendo premuto materialmente il grilletto, venivano considerati irresponsabili di «fatti di sangue»?). E' soprattutto il richiamo simbolico a un carattere nazionale naturalmente incline, come ha detto D'Alema, alla «solidarietà», l'idea che l'italiano dal cuore d'oro primeggi senza rivali nella corsa commovente al soccorso e all'ospitalità, allo spontaneo altruismo che cova invisibile nei precordi di un popolo accusato di essere egoista e insensibile alla cosa pubblica ed esplode in lacrime nell'emergenza «umanitaria». E' la retorica definita dal Foglio come il «bravogentismo degli italiani», l'idea che gli italiani diano il meglio di sé nelle trasmissioni congiunte di Bruno Vespa e Maurizio Costanzo dove le immagini della guerra sono trasfigurate in una gara di beneficenza. Il problema è che si è scelto di fare la guerra, non solo la solidarietà. Dov'è la guerra «vera»? E l'ipotesi che i «soldati dell'Alleanza» si impegnino «su un terreno impervio e ostile in imboscate, azioni di sabotaggio, uno stillicidio di piccole battaglie con morti, feriti, devastazioni», come lucidamente viene detto da Stefano Silvestri in un'intervista all' Unità? Guerra «degli altri». A noi spetta la «solidarietà».

Persone citate: Bruno Vespa, Carlo Sgorlon, D'alema, Foglio, Hitler, Maurizio Costanzo, Piero Fassino, Stefano Silvestri

Luoghi citati: Albania, Jugoslavia, Serbia