Sbarcando con gli alpini della Taurinense

Sbarcando con gli alpini della Taurinense GLI ITALIANI A DURAZZO, CON IL MINISTRO SCOGNAMIGLIO Sbarcando con gli alpini della Taurinense «Primo guaio, il cellulare è muto». E il fucile è senza pallottole reportage Francesco Grlgnetti inviato a DURAZZO La grande nave militare San Marco, con il ponte e la pancia piena all'inverosimile di automezzi dell'esercito, entra nel porto di Durazzo alle 12 in punto. C'è una certa maestosità in questo ingresso trionfale, salutalo con i fischietti dei marinai. A bordo una strana eccitazione si propaga tra i 500 alpini della Taurinense. Tutti insieme, all unisono, tirano fuori il cellulari; di tasca e cominciano nervosamente a controllare se c'è campo. No, non c'è campo. Siamo davvero ai confini del mondo occidentale se il telefonino tradisce. «Il tenente me l'ha detto quando siamo scesi dal camion. Ridete stasera perché domani ci sarà poco da ridere», mastica amaro un alpino di Napoli. E un altro, spegnendo l'apparecchio con aria mesta: «Ma quanto ci dovremo stare qua?». La missione militari' «Allied Harbour» è partita. Ottomila uomini al comando di un generale inglese. Gli italiani saranno circa 2000. Quasi tutti alpini di stanza a Torino, Rivoli, Cuneo, Bolzano e L'Aquila. Non significa che sono ragazzi originari di quelle parti. Anzi. «Alpini si diventa, mica si nasce», ride il maggiore Iannuzzi, che comanda il battaglione logistico e di comando. Napoletano anche lui e orgoglioso della penna nera. Ma è ovvio: l'esercito che si professionalizza - e qui di soldati di leva non ce n'è - arruola dove può. Se di piemontesi o veneti ne arrivano pochi, non è colpa dello stato maggiore. A ben cercare, però, tra i 500 ragazzi che durante la notte guardano nervosamente l'Italia che svanisce, giocherellando con il fucile che tengono in spalla (rigorosamente senza pallottola, per il momento), un torinese si trova. Si chiama Fabio, ragazzo dalla faccia pulita di corso Regina Margherita, caporale da sei anni, pratico di motori. E' già stato in Bosnia. Ora gli tocca l'Albania. «Con i miei amici si parla spesso del mestiere che ho scelto. C'è da faticare, ma se uno è volenteroso, qui si sta bene e si fa qualcosa che da soddisfazione». Intorno a Fabio, sul ponte di prora, nella notte fredda, finalmente senza ufficiali intorno, sono in tanti che ridono e scherzano. Stanchissimi per aver attraversato l'Italia a bordo dei lenti mezzi militari, si fuma una sigaretta e si esorcizza la paura. Arriva Pino, brindisino: «Ragazzi, c'erano i miei alla porta. Mi hanno fatto chiamare. Ho fatto una scappata a salutarli». Si parla di Albania, di Serbia, di piani della Nato. Di quel comandante dell'Alleanza, Clark, quello-con-il-nome-delle-scarpe. «Giornalista, tu magari hai parlato con gli ufficiali. Sai mica quanto ci fanno stare?». No. Non lo sa nessuno quanto potrà durare la missione. E nessuno sa quanto durerà la guerra. Ciccio, alpino abruzzese: «Io ho sentilo che se stiamo nelle tende ci fanno stare tre mesi. Se ci mettono nei container, anche di più». Subentra un romaneccio: «Ano! ho incontrato un amico mio. Un "raccomandato di ferro". Pen- satc che è di Roma e l'hanno sbattuto ad Aosta». Ridono tutti. Uno spicchio di Alberto Sordi, in tutto questo grigioverde, non poteva mancare. Intanto c'è chi scatta fotografie. Si ripete la famosa scesa di Titanic, arrampicandosi sulla punta del ponte. Chi soffre il mare. Chi scrocca sigarette. Chi fa i conti. «Ci daranno 54 dollari al giorno di diaria. Settantotto se si è sottufficiali o ufficiali inferiori. Con tre mesi di missione, quanto fa?». Fa circa 6000 dollari, una decina di milioni. Paga la Nato con assegno. Già, la Nato. Lontanissima, potentissima, quasi immateriale. E' la Nato che comanda qui. E loro, gli alpini della Taurinense, non riescono a prendere sonno pensando alle incognite dell'Albania. «Mi hanno detto che tutti hanno un ka¬ lashnikov. Ma che ci fanno? Sparano?». Ricomincia Pino: «C'è chi dice che andremo alle frontiere. Chi al Sud. Girano lo voci più strane». Alle 8 del mattino, dopo poche ore di sonno, le «penne nere» sono di nuovo sul ponte. A scrutare se si vedono i monti albanesi. Vedono invece tante navi militari. La San Marco passa attraverso una flotta di poderosa potenza. Da qui partono i missili Cruise che picchiano duro su Belgrado. Si alza un elicottero. Tutti a seguirlo con il viso: «Che dici, è un Apache?». Forse, anzi no. Ma non importa. La sola esibizione di forza dell'Alleanza Atlantica li rassicura. Tornano a ridere e scherzare. Non sarà mai un esercito di Ramno, quello italiano, anche se composto di persone che fanno bene il loro mestiere. Forse è meglio così. E ieri è sbarcato a Tirana anche il ministro della Difesa, Carlo Scc gnamiglio. Vedremo divise militari della Nato - gli chiedono - anche al Nord dell'Albania? «Le vedremo. E se le truppe della Nato considereranno che queste attività (quelle aggressive dei serbi, ndr) sono un pericolo, si comporteranno di conseguenza».

Persone citate: Alberto Sordi, Carlo Scc, Cruise, Iannuzzi