Si drogava, non va licenziato
Si drogava, non va licenziato Messina, annullata sentenza contro un impiegato di banca Si drogava, non va licenziato La Cassazione: prevale il diritto al lavoro ROMA Anche un ex tossicodipendente hn il diritto di guadagnarsi onestamente il pane, senza ohe il suo [lassato, definitivamente sconfitto, torni ogni volta alla ribalta corno un marchio di «indegnità definitiva e irreversibile». E' con una sentenza di valore sociale che la sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha annullato un licenziamento, imposto a un dipendente di banca dalla sua azienda, confermato dal pretore e dai giudici del tribunale di Messina. Sara ora un nuovo collegio di giudici, (pialli di Barcellona Pozzo di Gotto, a dover esaminare il caso e accertare se in concreto il cotn portamento di Antonio possa incidere sul suo rapporto di lavoro. Antonio, vice capo ufficio, era stalo arrestato por spaccio e per uso di stupefacenti. Aveva patteggiato la pena ed era stato poi licenziato. La perdita del [insto era stata confermata in tribunale: i giudici avevano sentenziato che il fatto addebitato aveva «una assoluta incompatibilita con il suo ruolo di bancario, considerato il bisogno continuo che un soggetto dedito all'uso di sostanze stupefacenti ha di denaro liquido». Nessuna rilevanza, quindi, andava attribuita al fatto che si trattasse di un episodio relativo «a una fase conclusa della sua vita, atteso il discredito derivato all'azienda» peri clamori del processo. Non cosi ha ritenuto la Cassazione, in uno dei pochi casi in cui legittimamente può entrare più nel merito delle vicende, in base alle cosiddette «norme elastiche» (la diligenza del buon padre di famiglia o la buona fede). La valutazione del tribunale, scrivono gli alti magistrati, «che ipotizza una sorta di "indegnità definitiva e irreversibile" per il lavoratore che, per un periodo di tempo limitato, abbia fatto uso di sostanze stupefacenti» si pone in contrasto sia con quei principi che impongono «la valutazione della concreta incidenza dell'inadempimento sulla funzionalità del rapporto di lavoro, sia con un diffuso standard valutativo della condotta del lavoratore - supportato dall'articolo 4 della Costituzione che sancisce il diritto al lavoro - che subordina il clamore negativo al reinserimento nel mondo del lavoro di un soggetto il quale abbia saputo rompere con una devastante esperienza». La sentenza dei giudici di Messina,- dice poi la Suprema Corte, è apodittica visto che è piuttosto ispirata all'affermazione «di un ben preciso valore nel rapporto di lavoro»: l'espulsione di chi appaia aver compromesso con il clamore negativo la credibilità del suo datore di lavoro. Ma questo, dice la Cassazione, non basta come motivazione di un licenziamento, [r. cri.l
Luoghi citati: Barcellona Pozzo Di Gotto, Messina, Roma
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