« I miei 6 giorni con l'ostaggio Rugova»

« I miei 6 giorni con l'ostaggio Rugova» NELLA CASA DEL LEADER KOSOVARO « I miei 6 giorni con l'ostaggio Rugova» 7/ diario della giornalista tedesca nascosta a Pristina reportage Renate Flottau Renate Flottau, 54 anni, è una giornalista di origine serba, che parla serbo-croato e albanese e da 12 anni è corrispondente del settimanale tedesco «Dei- Spiegel» dall'ex Jugoslavia. In questi giorni è diventata celebre per due scoop che hanno fatto il giro del mondo: l'ultima intervista non censurata con il leader moderato dei kosovari, Ibrahim Rugova, prima delle voci sulla sua scomparsa. E il diario dei sei giorni che ha passato nascosta a casa sua, dov'era andata a verificare proprio quelle voci. Ne pubblichiamo alcuni passi. 31 MARZO Una radio occidentale annuncia che il leader albanese Ibrahim Rugova sarebbe stato ferito, o forse è morto. E' vero? Vado a verificare di persona. Scendo a piedi il quartiere albanese di Pristina. La via dove si trova la casa di Rugova, dipinta di bianco, sembra stranamente vuota e abbandonata. Verrò a sapere più tardi che tutti gli albanesi che ci vivono sono stati cacciati con la violenza quella stessa mattina. Suono, viene ad aprirmi Rugova in persona. E' pronto a dire alla popolazione albanese, usando il mio registratore, che è vivo e che i profughi non devono perdere la speranza di un futuro migliore. Quando sto per andarmene, entra nella stanza il fratello di Rugova, che si mette un dito sulle labbra per metterci in guardia da qualcosa. Scendiamo piano piano le scale e dalla finestra vediamo avvicinarsi le auto della polizia, che poi si fermano davanti alla casa. Ne scendono due dozzine di soldati della polizia speciale serba. Tre uomini in uniforme si precipitano dentro e ci spingono tutti a pianterreno, nella stanza che serviva per le conferenze stampa. Siamo in 17: Rugova, sua moglie Pana e i loro tre figli, due sorelle con le loro famiglie e Adnan Merovci, il factotum e capo del protocollo di Ru- gova, passato per caso quella mattina. Abbiamo le armi puntate contro. Ci strappano i fili del telefono e della televisione. Nel pomeriggio arriva il capo della polizia speciale. Le sue istruzioni sono concise: la polizia occuperà le stanze in basso e al secondo piano. Noi resteremo al primo, «sotto la protezione della polizia», tutti in una sola stanza. Bisbigliando, Rugova e io conveniamo sul fatto che sarebbe pericoloso rivelare adesso che io sono una giornalista. Anche Adnan, designato «mediatore» tra Rugova e i suoi nuovi «protettori», crede che io sia un'amica di famiglia. Alle otto di sera chiamano Rugova e gli propongono di andare a Belgrado l'indomani. Milosevic vuole parlargli «per discutere una soluzione alla crisi». Rugova acconsente a malincuore, consapevole di non avere scelta. Dormiamo per terra, schiacciati come sardine. Rugova si assopisce sul canapé, con un fazzoletto sulla testa - una sua vecchia abitudine. 1 APRILE Rugova è irritato. E' stato svegliato troppo tardi per partire por Belgrado. Comunque, alle nove parte nella Bmw della polizia serba. E' preoccupato per il modo in cui l'opinione pubblica albanese accoglierà il suo incontro con Milosevic. Noi passiamo tutta la giornata seduti in silenzio sulle poltrone e le sedie. Quando Rugova torna, verso le sei e mezza, è visibilmente sconvolto. Milosevic l'ha usato ai fini della sua propaganda. In ogni caso, non ha fatto proposte concrete per una soluzione pacifica. Gli ha promesso che «non gli verrà torto neppure un capello, i soldati ne saranno garanti». Rugova ha controfirmato un comunicato già pronto, secondo il quale è favorevole a una soluzione attraverso «mezzi politici». Non è che mio «slogan», ci dirà più tardi davanti a un bicchiere di whisky. Rugova vuole chiedere a Belgrado di farlo partire con la sua famiglia per motivi umanitari e scortarlo fino a Skopje. Di lì potrebbe influenzare lo sviluppo della crisi in Kosovo. Fino all'una di notte, rimaniamo seduti attorno al grande tavolo, bisbigliando. 2 APRILE La polizia continua a circondare la casa. Alle 11 viene ripristinata la linea telefonica, ma la polizia ascolta le conversazioni. Adnan parla con l'ambasciatore americano a Skopje, ma la sua reazione è vaga: se i serbi organizzeranno il traspoito di Rugova fino alla frontiera, lui lo aspetterà dall'alta parte. Rugova si dedica al suo passatempo preferito, la sua Sterminata colW.ione di minerali del Kosovo. Adnan richiama il gabinetto di Milojevi';, chiede di nuovo un gesto umanitario, un'uscita sotto scorta verso Skopjo. Ma Milosevic vuole continuare gli incontri a Belgrado. Rugova replica che soltanto parlando a Skopje con i suoi consiglieri può decidere un eventuale accor¬ do. Gli dicono che lo richiameranno. Aspettiamo, ovviamente invano. «Milosevic gioca con me come il gatto col topo», commenta amaramente Rugova, «Vuole farmi passare per un traditore agli occhi del mio popolo». Rugova sa di essere ancora un interlocutore importante: solo se gli albanesi accettano un nuovo giro di consultazioni la Nato potrebbe fermare i bombardamenti. C'è della minestra di fagioli, la radio tedesca parla di un'iniziativa di Usa, Germania, Francia e Italia: un invito all'estero per Rugova e la sua famiglia, per verificare la sua «libertà». Ma è un fuoco di paglia che si spegne subito. Intanto Rugova lotta contro tm inizio di influenza. Lo chia- miamo il «virus Milosevic». La sera, discutiamo sulla possibilità che io fugga, ma arriviamo alla conclusione che sarebbe troppo rischioso 3 APRILE L'ambiente è opprimente, passiamo tutta la giornata seduti sulle sedie, apatici, Milosevic esìge che Rugova vada di nuovo ila lui, Rugova rifiuta A Pristina viene mandato il viceprimo ministro jugoslavo, Nikola Sainovic. E' uscita l'intervista su «Spiegel». nella quale Rugova parla in favore dell'intervento delle truppe di terra. Sainovic arriva alle nove di sera, ma non ha proposte concrete 4 APRILE E' Pasqua, i bambini dipingono le uova che i poliziotti serbi hanno portato la vigilia, insieme al latte e all'acqua minerale. Rugova spera in una chiamata liberatrice da Belgrado. Arriva verso mezzogiorno, ma contiene soltanto l'informazione che Rugova deve ricevere l'ambasciatore russo che andrà a trovarlo con Sainovic. Consumiamo il nostro «pranzo ili Pasqua», pollo e riso. Una volta al giorno, i protettori serbi autorizzano uno dei cognati di Rugova a scendere in cantina e prelevare provviste dal congelatore. Verso mezzanotte la Nato bombarda vicino a noi, i muri tremano. Abbiamo paura che i serbi facciano saltare la casa ih Rugova per accusare poi la Nato. 5 APRILE Poco prima che arrivi l'ambasciatore russo, Rugova vede per me una possibilità di fuggire. A! secondo piano, dove avverrà l'incontro, sono attesi molti giornalisti. Io devo entrare dietro Rugova e mescolarmi a loro. Il piano riesce. Resto un po' con loro, poi lascio la casa per prima. Un poliziotto mi chiede da dove vengo: «Dalla conferenza stampa» rispondo. «Ok», dice, lasciandomi passare. Vedo il sole per la prima volta dopo sei giorni. Ma in albergo mi aspettano due persone delle «forze di sicurezza». E l'interrogatorio sarà brutale. Le Monde-La Stampa «Lui si dedica alla sua collezione di minerali del Kosovo Ha un principio di influenza, noi lo chiamiamo il "virus Milosevic". La sera bisbigliamo fino a tardi, di giorno restiamo seduti su una sedia, apatici I serbi ci portano uova fresche e il latte per i bambini» «Siamo in 17, tutti stipati in una stanza. Dormiamo a terra, schiacciati come acciughe. Rugova dorme su un canapé, con un fazzoletto sulla testa. Una volta al giorno uno dei suoi cognati scende in cantina a prendere provviste dal congelatore» I bambini, che subiscono o semplicemente assistono alle violenze della guerra, sono le vittime più vulnerabili [fotoajm