«Sì alla guerra contro il nuovo Hitler» di Enrico Deaglio

«Sì alla guerra contro il nuovo Hitler» La scelta sofferta di un uomo di sinistra dopo le agghiaccianti analogie tra i piani di Milosevic e del Fùhrer «Sì alla guerra contro il nuovo Hitler» Enrico Deaglio FORSE per una premomzione, forse per un certo spirito dei tempi, forse per la più irresponsabile casualità, due sono state le finzioni che hanno fornito nell'ultimo anno le più spettacolari emozioni. Due film: Salvate il soldato Ryan, di Steven Spielberg, e La vita è bella di Roberto Benigni. Riferiti allo stesso periodo storico (l'ultimo anno del nazismo in Europa), il primo narra dello sbarco in Normandia in forma sadico-epica, glorificando l'orrore, la memoria e il sacrificio; il secondo, in chiave fiabesca, del percorso che portò dalle leggi razziali ai campi di sterminio. Nel primo film, Tom Hanks, l'eroe morente, sente il rombo degli aerei (arrivati troppo tardi) e mormora: «Angeli sulle nostre spalle». Nel secondo, Giosuè, il bambino che il padre Guido Orefice protegge (morendo) dalla vista di Auschwitz, vede comparire il carro armato americano che gli era stato promesso, come segno dell'avvenuta salvezza. E' evidente che i due film parlano del Kosovo. Il primo invocando l'intervento di terra, il secondo evocando la deportazione e la pulizia etnica. Non c'è alcun dubbio che i due spettacoli abbiano avuto, nel profondo delle coscienze collettive, un peso nello spostamento delle opinioni pubbliche a proposito della guerra della Nato contro la Serbia. Nonostante siano passati 55 anni, la realtà si è incaricata di copiare la finzione cinematografica: ci sono oggi, in Europa, pulizìa etnica e deportazioni, campi di concentramento e vagoni piombati, invocazioni alla purezza razziale, profughi che nes- suno vuole. E, per interpretare ciò che sta succedendo, a poco vale il mondo attuale e, men che meno, quello futuro: tutti i riferimenti vanno alla prima metà del nostro secolo, quando nel cuore dell'Europa avvenne ciò che nessuno aveva previsto, l'ascesa e il consolidamento del nazionalsocialismo di Adolf Hitler. Vi hanno fatto aperto riferimento, parlando dì Slobodan Milosevic, Bill Clinton, Tony Blair, Madeleine Albright.. Ne cominciano a parlare - sulla scorta delle immagini che arrivano ogni giorno - i capi di governo francese, tedesco e anche italiano. E si riscopre, proprio come successe allora, quanto tempo ci misero i governi, la stampa, l'opinione pubblica a rendersi conto di ciò che stava succedendo in Europa. I progetti del caporale Adolf Hitler erano stati scritti, con il titolo Mein Kampf (La mia battaglia) nel 1923 e diffusi in Europa in milioni di copie, ma lo sforzo parve ai più un esercizio letterario. (...) L'avversario Slobodan Milosevic, ha davvero molte somiglianze con Hitler. A partire dai dieci anni in cui ha potuto agire praticamente indisturbato dispiegando un'aggressività feroce contro croati, bosniaci e kosovari. E a seguire con l'imposizione e l'accettazione della sua teoria. Cosi come la Germania hitleriana si riteneva mutilata e umiliata, ma pura di razza superiore, così i discorsi di Milosevic dal 1987 a questa parte: il san¬ gue e il suolo, la preziosità della stirpe pura, i serbi razza guerriera, il flagello della demografia che premia i musulmani. Hitler, 1923: «Il fine dello Stato è la conservazione della razza, ovvero, in conformità con l'eterna Volontà che domina l'Universo, la vittoria del migliore e del più forte, la subordinazione del peggiore e del più debole (...). La nazione o, meglio, la razza non consiste nella lingua, ma solo nel sangue... Quelle qualità che resero il popolo conquistatore capace di vincere». Milosevic, 1987, in Kosovo: «Nessuno dovrà più osare attaccarvi! L'eroismo dei nostri antenati non ci farà dimenticare che ci fu un tempo in cui eravamo coraggiosi e andavamo, invitti, in batta¬ glia... Sei secoli più tardi affrontiamo nuove battaglie. Oggi non sono armate, ma non è detto che sia così per sempre». Appoggio dell'Accademia serba delle scienze e delle arti, stesso anno: «Subiamo il genocidio fisico, politico, giuridico, culturale della popolazione serba in Kosovo... Il destino del Kosovo resta una questione vitale per il popolo serbo tutto intero». Sempre l'Accademia, 1987 : «Il nostro è il popolo celeste, avanguardia della cristianità contro il turco». (...) La povera signora Madeleine Albright - la rappresentante del «club di Monaco» - è oggi sotto accusa per aver forzato la mano alla Nato, vagheggiando una guerra breve e un rapido collasso di Milosevic che non c'è stato. Poco meno di due anni fa, nel luglio 1997, andò a Praga ui visita ufficiale per invitare Ungheria e Cecoslovacchia ad aderire alla Nato. Poi fece una visita privata alla sinagoga Pinkas dove (ed era la prima volta che lo riconosceva) rese omaggio ai suoi nonni uccisi dal nazismo insieme ad altri 77.294 ebrei cecoslovacchi. Avrà sicuramente pensato a Monaco, in quell'occasione. Se non altro, per fatto personale. E a un'Europa che, all'inizio degli Anni Trenta, aveva una popolazione di tredici milioni di ebrei. Pochi mesi dopo ammoni che gli Stati Uniti non avrebbero permesso ai serbi di fare in Kosovo «quello che non sono più in grado di fare in Bosnia». Il primo giorno di guerra, ha parlato in serbo croato alla radio in un messaggio alla popolazione jugoslava. Conosce la lingua, perché suo padre, Josef Korbel, era stato ambasciatore cecoslovacco a Belgrado. Forgiata in altri tempi, Madeleine Albright non pensava che in una settimana sola duecentomila kosovari sarebbero stati deportati. Un record che diverse volte era riuscito ad Adolf Eichmann. Il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic «ha dispiegato un'aggressività feroce contro croati, bosniaci e kosovari» Enrico Deaglio - direttore di «Diario» - pubblica sul numero di domani del settimanale questa riflessione su Hitler e Milosevic.