«Perché Milosevic non ci lascia in pace?»

«Perché Milosevic non ci lascia in pace?» I PICCOLI KOSOVARI NEI CAMPI PROFUGHI «Perché Milosevic non ci lascia in pace?» Parlano i bambini: casa, scuola, amici Mi mancano tanto reportage José-Alain Fraion PER un lungo, lungo momento, Bruna è rimasta zitta. Fissando per terra, questa ragazzina kosovara di 12 anni dal viso straordinariamente liscio e dagli occhi svuotati da qualunque emozione, è sembrata altrove. Poi ha alzato la testa e tutto d'un fiato ha raccontato la sua storia: «Quando sono arrivata a scuola, il maestro ci ha detto: "I serbi ci hanno accerchiati, dovete nascondervi". Con tutta la classe siamo saliti in collina. L'indomani siamo partiti per un altro villaggio e siamo entrati in un'altra classe. Ci siamo rimasti tre giorni. Stavamo sempre in classe, senza • édere i nostri genitori, profani' nte senza mangiare. Io credevo :he i mici fossero morti. Molti piangevano. Quando mio padre è venuto a prendermi, pensavo cbq mi avrebbe riportata a casa». Ma Bruna non è tornata a casa. Oggi, come decine di migliaia di altri bambini della sua età, è parcheggiata nei campi profughi della Macedonia o del Montenegro o dell'Albania. A vederli vivere in questo campo di Tirana, chi potrebbe pensare al loro dramma? Un gruppo di bambini piccoli gioca con un cerchio di fortuna, mentre i «grandi», mano nella mano, girano intorno a qualche adolescente che fa jogging, scoppiando dal ridere. Altri sono seduti per terra e se la contano. Che cosa si dicono? «Li sento spesso parlare tra di loro di ciò che è accaduto, ma davanti a noi tacciono», spiega Anila, volontaria della Croce Rossa albanese nel centro raccolta profughi sistemato nel palazzetto dello sport di Tirana. Mentre un altoparlante dà tutte le informazioni necessarie «ai nostri fratelli kosovari», arrivano nuovi rifugiati, spossati. «Non finirà mai», mormora Anila. E prosegue: «La notte, molti bambini hanno gli incubi. Ieri c'era vento, una porta è sbattuta e loro si sono svegliati terrorizzati, credendo che fosse esplosa una bomba». «Di giorno non ci penso, ma appena vado a letto, li rivedo, tutti neri, con il cappuccio!», dice Mire, che ha undici anni e mezzo, alludendo ai miliziani serbi, che hanno intimato loro di partire. «Avevano del fango, del fumo sulla faccia, si vedevano solo gli occhi - racconta Berta, 13 anni -. Urlavano, ci spingevano. Con tre dita facevano il segno dei serbi». Ha avuto paura? Mette le mani in tasca, si raddrizza, alza le spalle e dice, con la sua voce roca: «No.. Sì... Un po', come tutti!». Poi ag- giunge: «Di sicuro mi avranno rotto la bici». I compagni ridono: «L'hanno massacrata, la tua bici». Boria rimpiange soprattutto i suoi libri. «Per fortuna ho potuto salvarne uno, il mio preferito. Appena ho sentito dire che i serbi ci avrebbero cacciati, ho affidato il mio libro su Mie Soculi alla nonna, che è rimasta a Pristina», racconta tutto fiero, come se avesse giocato un brutto tiro ai serbi. Ma chi è Mie Soculi? «Un grande eroe del nostro popolo, che ha lottato contro i turchi». Che cosa direbbe a Milosevic, se l'avesse di fronte? «Gli direi... gli direi... gli direi "Se fossi grande, ti ucciderei"». «E' un porco. Perché non ci lascia in pace?», aggiunge uno dei suoi amici. E un altro: «E' un uomo crudele. Credo che non avrebbe neppure il coraggio di guardarmi in faccia». Come vede il suo futuro, Beria? «Tanto per cominciare, tornerò in Kosovo, quando sarà una repubblica». Una repubblica? «Vuol dire essere libero nel mio Paese, con le nostre scuole che i serbi hanno voluto occupare, con la nostra lingua». E poi? «Se la situazione si calma, farò il dentista. Se invece le cose restano così, mi batterò con l'Uck», dice l'ometto, serissimo. Si rilassa solo parlando dell'anello che porta all'orecchio. «I miei genitori non volevano. Ma siccome tutti gli amici del pallone ce l'avevano, ho fatto come loro. Quando sono tornato a casa, quanto hanno sbraitato!». Tutti ridono. Herolind, 11 anni, grande frangia che gli nasconde gli occhi, ammette di aver pianto tanto. «Per mio padre, che è rimasto a casa, ma anche per i miei libri e i miei giochi, che mi hanno preso». Si ricorda di aver camminato a lungo attraverso la campagna. «Mangiavamo solo pane con un po' di formaggio». Poi è salito su una carretta tirata da un trattore. «Il viaggio non finiva più». Ha avuto tanta fame, perché il trattore si è guastato e sono rimasti oro e ore a cercare di aggiustarlo. Si ricorda anche «dei serbi, che ci prendevano i documenti e li ammucchiavano su un tavolo. Ci hanno preso anche tutto il cibo che avevamo con noi». Ha un solo libro con sé: l'abbecedario. Per lui, Milosevic «è quello con i capelli bianchi, cattivo», la Nato «quello che spara dal cielo». Precisa Labinat: «La Nato è un signore che fa la pace». «No obietta Alban - sono dei soldati con dei missili Cruise». «E' il nostro babbo» aggiunge Scipron. Malinda, 12 anni, elegante nel suo golfino rosso sui pantaloni blu - «sono gli unici vestiti che ho potuto prendere, ina li pulisco tutti i giorni» - ben pettinata, dice con voce particolarmente posata: «Questa guerra non ha senso, Milosevic avrebbe dovuto firmare». Che cosa le manca di più? Guarda incredula chi le fa una domanda così sciocca. «Tutto. La mia casa, i miei amici, la mia scuola». Un attimo di silenzio, poi conclude: «Mi manca la mia vita, eccol» Le Monde-La Stampa «Di giorno non ci penso, ma appena vado a letto, li rivedo, tutti neri con il cappuccio» «Tornerò a Pristina Se la situazione si calma, sarò dentista Altrimenti mi batterò con l'Uck»

Persone citate: Beria, Berta, Boria, Bruna, Cruise, Milosevic

Luoghi citati: Albania, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Tirana