A Novi Sad, il bersaglio quotidiano

A Novi Sad, il bersaglio quotidiano Bombardata una raffineria, caserme e sistemi di comunica2ione. Strade deserte, ma il centro è indenne A Novi Sad, il bersaglio quotidiano Resta un solo ponte sul Danubio, si traghetta su una chiatta Sad la prima moglie di Einstein; e fu proprio il loro figlio, spiega il diplomatico di Belgrado che ci accompagna, a costruire negli Anni 20 il primo ponte, distrutto dai tedeschi, di cui si vedono ancora affiorare dall'acqua i tre piloni. Dall'inizio degli attacchi Nato, non c'è stata notte, o quasi, che Novi Sad non sia stata colpita. E' stata bombardata due volte una grande raffineria: i suoi impianti accartocciati, grattacieli di rottami, sono divorati dalle esplosioni e dagli incendi. Resta in piedi soltanto un terzo ponte, stradale e ferroviario, benché colpito lateralmente ma all'inizio della struttura, sulla terraferma, Colpiti miche obiettivi più specificamente militari, come caserme, acquartieramenti, sistemi di comunicazione. Debbo a Franco Rocchetta, già esponente della Lega e brevemente sottosegretario agli Esteri con Berlusconi, l'aver potuto venire qui in un momento ùi cui, dato lo stato di guerra, i movimenti della stampa estera e nazionale sono fortemente limitati. Su richiesta di Rocchetta, venuto in missione di pace come presidente dell'Istituto di studi di diritto intemazionale Paolo Sarpi, affiancato dall'ambasciatore georgiano Beglar Tavartkilaze, ho avuto il permesso di unirmi al suo convoglio, accompagnato da un ufficiale dei servizi di sicurezza. In serata, al ritorno a Belgrado, Rocchetta, insieme al nostro ambasciatore Riccardo Sessa, ha poi avuto un colloquio di un'ora e mezzo con il ministro degli esteri, Jovanovic. Novi Sad è a poco meno di 100 chilometri dalla capitale, in autostrada. Ma questa è chiusa, bloccata dai militari: non si sa perché, forse c'è qualche cavalcavia abbattuto, forse passa troppo vicina a un aeroporto militare più volte attaccato. A nulla valgono credenziali e salvacondotti. Così facciamo lunghi giri per stradine secondarie senza traffico, attraversiamo paesini con poca gente in giro e molti presidi militari, subiamo controlli a posti di blocco. Infine, eccoci davanti al Danubio e ai ponti distrutti, nella parte vecchia, austro-ungarica, di Novi Sad, propriamente detta Petrovaradin. Non mi'ùnbarcazione su questa che è la più grande via d'acqua d'Europa. Decine di battelli fluviali sono bloccati a monte e a vaP°' le, impossibilitati a superare questo tratto del Danubio ostruito dalle macerie dei due ponti. Si vede solo una grande, immensa chiatta che lentamente attraversa il fiume, proveniente dalla parto moderna della città: un mezzo primitivo, quasi una grande tavola con un motore ansimante, e sopra di essa, senza alcuna protezione di sicurezza, centinaia di persone. Di qua, su uno spiazzo erboso lungo la riva, altre centinaia eh persone sono in attesa della chiatta, per salirvi dopo dopo lo sbarco di quelli in arrivo, e passare di là. Poche visioni danno il senso di ima città ferita come la scomparsa di due ponti che la univano. Lo spettacolo delle code alla chiatta, del precario e affollato mezzo di trasporto è un ritorno a età premoderne, all'ombra della fortezza austro-ungarica che domina questo punto del Danubio. Il grande fiume torna qui a essere quello che è stato per secoli: punto di frontiera fra due mondi. La fortezza, che nella sua architettura del XVIII secolo ricorda linee praghesi, era il punto avanzato dell'impero asburgico d ivanti all'impero ottomano. 11 fiume fa una grande ansa, dominata dall'impo¬ nente castello, storicamente denominato anche «la Gibilterra del Danubio». Su questo lato del fiume sorgeva la grande raffineria, ora tutta distrutta. Intatti, invece, i depositi, forse perché già svuotati. ((Avrei capito se avessero colpito l'oleodotto - dice il direttore, Sergei Mihailovic -. Avrebbero raggiunto il loro scopo. Così ci hanno raso al suolo un impianto che sarà da rifare totalmente». Si lascia la parte vecchia e si passa in quella nuova, arrivando in centro. Nessun segno di distruzione: gli attacchi hanno colpito gli obiettivi militari, tutti noi dintorni. Poco movimento, poca gente in giro, tutti si proparano all'ennesima nottata nei rifugi o ai turni da scudo umano sull'unico ponte rimasto. Belgrado si fa coraggio, nella sua disperata euforia, coi concerti antiNalo, le veglie sui ponti che diventano happening. Novi Sad, colpita ogni giorno, pare immersa nell'angoscia. I p A destra, il Ponte della Libertà di Novi Sad. centrato in pieno dalle bombe Nato. In alto, un'immagine mandata in onda dalla tv serba: abitanti di Novi Sad come scudi umani presidiano l'ultimo ponte sul Danubio rimasto in piedi, sebbene parzialmente colpito Fernando Mezzetti inviato a NOVI SAD Dalle acque del Danubio, a metà del grande fiume, spuntano due piloni che non sorreggono più nulla. Dalle due sponde si protendono e cadono in acqua due spezzoni, con sotto le strutture metalliche, non più portanti, di quello che fu un ponte. I lampioni della luce che ai lati lo illuminavano sono inizialmente inclinati partendo dalle sponde, e diventano quasi paralleli al fiume verso la parte centrale, ormai inabissata. Sui camminamenti pedonali ancora affioranti, si notano file di lampadine colorate per le luminarie di Pasqua, mai accese. In mezzo al grande corso d'acqua, tra i due pilastri, gorghi e mulinelli sopra le strutture portanti affondate in un'operazione militare tecnicamente perfetta. Questo ponte, il «Ponte Vecchio» per gli abitanti della città, è stato letteralmente centrato, colpito in mezzo, la notte del primo aprile. Il 3 aprile è toccato all'altro, alcuni chilometri più a Sud, il Ponte della libertà: lo si scorge da qui, con la sua moderna ùigegneria, una parte a tensione, un'altra a struttura portante, anch'esso centrato in pieno. Siamo a Novi Sad, «Nuovo Giardino», circa 200 mila abitanti, capoluogo della Vqjvodina, regione hi cui ancora convivono serbi e altre minoranze, tra cui la più rilevante è quella ungherese. Qui comincia la Pannonia, questo è uno dei grandi centri agricoli e industriali della Jugoslavia. Era crogiolo di etnie sin dai tempi dell'impero asburgico. Era di Novi

Luoghi citati: Belgrado, Europa, Gibilterra Del Danubio, Jugoslavia