Al confine, sotto i colpi serbi

Al confine, sotto i colpi serbi J^jaf ;pLA GUERRA SI ALLARGAjCOLPITI VILLAGGI IN ALBANIA Al confine, sotto i colpi serbi Belgrado: abbiamo ucciso 150 dell'Uck reportage Vincenzo lessandoti inviato a TROPOJE LMECO del mortaio si ode ff fin da Biram Curri, che è retrovia al sicuro, protetta dai monti. Eppure, sono colpi micidiali, perché i serbi dal crinale lungo il contine, fanno il tiro al bersaglio su tutto quello che si muove sulla strada e Tropoja è lì, in basso, indifesa. E deserta. Domenica c'è stata battaglia, con quattro morti, ragazzi dell'Uck, l'Esercito di liberazione, sorpresi su un furgone Volkswagen. E ieri si è ricominciato. I serbi rilanciano e la Tonjug sostiene che hanno «eliminato» 150 kosovari; quelli dell'Uck dicono di aver attaccano Monna, al di là della frontiera, e che la battaglia va bene. Forse nessuno, qui, dice il vero. E allora non rimane che andare avanti, ma quando il fuoristrada arriva a una curva a gomito, si ode un botto più forte. Troppo pericoloso, proseguire su questa strada. Così si tenta la sorte da una mulattiera che arranca sotto costa, perché da quella parte, forse, i serbi non ti vedono, almeno non subito. E se ti scoprono, magari ce la fai a nasconderti. E' un paese di case basse in pietra, quello conteso, grigio e triste, perché quassù avverti davvero la sensazione di essere uscito dal mondo, da quello che hai sempre conosciuto perlomeno. Gente fiera, questa di Tropoja, dicono, con un'idea sua della legge che è sempre quella del più forte o di chi è più rapido col Kalashnikov. Ottomila abitanti, i due terzi in paese gli altri nelle case smarrite della montagna. Una volta questo era un punto di riferimento perché Sali Berisha è di qua ed era diventato presidente della Repubblica. Oggi fai fatica a credere che per questi sassi potrebbe aggravarsi chissà fino a che punto un conflitto che ha già provocato piaghe profonde. Ma c'è il mortaio, a ricordartele, queste case, e quelli che fuggono a piedi, con un sacco sulle spalle, con d gregge delle pecore, con il fucile. Abdyl Sylai, dice di avere 70 anni ma potrebbe averne dieci volte ) tanti. Il volto è scavato, la pelle pare cuoio, gli occhi due fessure. Indossa un pastrano militare, con un nervo di bue tiene raccolto un gregge di 30 pecore. Tende l'orecchio e dice: «Sono tre batterie. Ho sentito i colpi da tre direzioni diverse, non mi sbaglio». No, dice, non ha paura, ma il campo a grano non può più curarlo perché «quelli come ti vedono, sparano». E non soltanto proiettili di mortaio, ma anche bombe a frammentazione, quelle che quando cadono spargono morte dappertutto. E una, sul mezzogiorno, è finita in un campo, qui vicino, e nessuno può avvicinarsi. Un giovane, con 6 pecore e il kalashnikov in spalla, spunta dalla curva. E' magro, completo jeans. Laggiù che cosa c'è? «Maledizione, vai a vedere, che cosa c'è, che cosa hanno fatto. Hanno distrutto tutto». E allora, avanti. Fino al paese, dove l'unico suono lo fa il vento fra gli alberi. Le 16,30, sul crinale del monte sfilano quattro camion militari col telone. «L'Uck», dice l'auti- sta. Ma i serbi sono li, a meno di un chilometro e mezzo, e se fai attenzione riesci anche a scorgerli. Hanno sparato fino a dieci minuti avanti sulla gente che andava al funerale di Tajr Shaban Hoxha, che aveva 60 anni, e di Ilir Muarenù, che ne aveva 30, sorpresi domenica da quel proiettile scoppiato vicino al furgone Volkswagen dove erano anche quelli dell'Uck. E ora quella gente, quattro donne e due uomini, tornano indietro delusi, ma è troppo rischioso arrivare fino al cimitero. I bussi muri a secco ti danno una sensazione forse ingannevole di protezione. E poi, c'è la caserma appena dietro l'angolo, ed è contro di essa che i serbi si sono accaniti, negli ultimi giorni. Deserta, anche questa, con ì vetri infranti da poco, perché non c'è polvere sui frammenti e la facciata è crivellata dai proiettili. C'è un'altra costruzione, 150 metri più avanti, con un fuoristrada verde nascosto da un gruppo di alberi. E uno in tuta mimetica. «Via, allonta¬ natevi, che vi ammazzano». E allora, si torna indietro, e guardi dentro a quelle case deserte e sbarrate. Così ti accorgi che qualcuno c'è, rifugiato nei cunicoli scavati negli ultimi giorni, quando si son resi conto che i sorbi orinai sparano soltanto per uccidere. Quei volti impauriti, sgomenti, ti riportano alla memoria quelli ritratti da Henry Moore nell'underground londinese durante i bombardamenti tedeschi. Una vita da topi, ma anche al mattino, qui, hanno sparato, dice una donna che forse ha 30 anni e che copre il capo con un fazzoletto nero. E allora, piuttosto che morire, meglio una vita così. Due case sono state centrate dai proiettili scoppiati vicino alla gente. E anche ora continuano, a intervalli regolari. Due morti e due feriti in maniera seria: soldati dell'Uck. All'ospedale di Bairan Curri lo sanno che la battaglia è diventata più feroce. Del resto, negli ultimi tre giorni, i morti sono stati 10 e 23 i feriti, dei (piali 10 fra la popolazione. C'è il funerale a quattro ragazzi venuti a morire qui. Ci son tutti, i commilitoni con le tute mimetiche e i kalashnikov stretti in pugno, poca gente del paese. Sette sono sul Volkswagen quasi centrato dall'artiglieria, l'altro giorno, E1 privo di parabrezza e di lunotto, ha i fianchi anneriti. Ma cammina, e questo conta. Quelli dell'Uck per venir qui a rendere omaggio agli «eroi», hanno avuto qualche ora di riposo. E c'è Adrian, che ha 24 anni e il viso aperto, gli occhi azzurri e i capelli rasati. E' scappato dal Kosovo quando i serbi hanno allerto il loro lugubre rito della pulizia etnica. Due di quelli erano suoi amici: «Xafer Thaci aveva 32 anni e veniva dalla zona di Pristina; Gene Bjtuci ne aveva 27 ed era arrivato quassù dalla Germania. Erano bravi ragazzi», dice. E un'altra eco, di questa guerra, sono i 3000 passati da qualche sentiero sulle montagne, qui intorno. Li hanno accolti nelle case, o si son dispersi nei boschi: secondo l'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea, in tutta l'Albania mancherebbero all'appello circa 30 mila kosovari. Fra costoro, sembra, anche quelli di Biram Curri. / Soldati serbi in vista del confine di Kukcs con l'Albania f

Persone citate: Curri, Gene Bjtuci, Henry Moore, Hoxha, Ilir Muarenù, Sali Berisha, Shaban, Thaci

Luoghi citati: Albania, Belgrado, Germania, Kosovo