Gusti e disgusti

Gusti e disgusti N tempo, o meglio, sino a poco fa, il vino, a seconda che fosse rosso, bianco o rose, era in bot« ■ fi ■^a»»- '-iglie marroncine scure, verdastre, oppure di ^fm^/1 colore chiaro. L'occhio del bevitore era abituato a questo piccolo arcobaleno la cui attenta osservazione faceva parte del rito atavico della bevuta. E in questo rito rientrava pure l'apertura della bottiglia tirando fuori il tappo da cui. i più raffinati, annusandolo potevano capire l'annata di vendemmia o addirittura sapevano da quale sughereto (di Sardegna o d'Africa) esso provenisse. Altri tempi ormai, è il caso di dirlo. E presto tutto ciò avrà il senso dell'archeologia. Già, perchè sempre più troviamo bottiglie che hanno vetro blu o viola, colori che «sbattono» contro le sfumature cromatiche del vino che contengono; e adesso questo trend aumenta con un nuova e sempre più insistente abitudine di ficcare nella bottiglia un tappo colorato di plastica. L'altro giorno ci è capitato di bere una deliziosa e nobile Malvasia istriana protetta da questo asettico cilindro color rosa, scuro e inodore: un uomo in smoking, ma con i calzini corti. Il tappo di plastica non rumoreggia quand'è staccato dalla bottiglia, non ha tracce vinose e neppure naturali odori di sughero. Impersonale e banale. Degno compare di quei vini creati in laboratorio dove reale è solo, per adesso almeno, l'acino d'uva e il resto (profumo, sapore, colore, corposità e levità) è deciso dal computer.

Luoghi citati: Africa, Sardegna