«Voglio uccidere un bimbo serbo»

«Voglio uccidere un bimbo serbo» TRUPPE FRESCHE PER LA RESISTENZA ALBANESE «Voglio uccidere un bimbo serbo» Tra i volontari dell'Uck verso il fronte reportage Giovanni Garruli BARI O visto quelle immagini tv in Germania, a casa mia. Da quel momento non vedo l'ora di sgozzare un serbo!», dice rabbioso il ragazzotto biondo con coda di cavallo, un vero Borsalino in testa, lo stemma dell'Uck infilato come la piuma di un alpino. «Io voglio cavare il cuore a un bambino serbo!», brinda un altro con il berretto degli Orlando Magic. Sarà la terza birra o la voglia di stupire la reporter americana, sarà la paura che li fa straparlare oppure è brutale verità? Dal porto di Bari partono le reclute, le reclute dell'odio. Uno si apre la camicia: «Vedi questo tatuaggio ormai sbiadito? E' l'aquila albanese. Me lo sono fatto da solo cinque anni fa. E' da allora che aspetto questo momento. Poi, se sarò ancora vivo, me ne tornerò in Germania». Si aprono due, dieci, venti camicie. Attorno zaini, giubbetti antiproiettile, elmetti, mimetiche, pugnali. E una pessima voglia di vendette. «In fila per due, adesso!». Il traghetto per Durazzo parte tra un'ora, il comandante Senza Nome si è appena messo la sua mimetica. Siete pronti? Bekim Murseli ha vent'anni, l'orecchino d'oro, e viene da Berlino. E' il primo di una fila lunga 90 passi. «Siamo in 400», Ti ha contati. Sono le reclute che arrivano da Svizzera, Germania e Austria. I volontari dell'Uck. Per Milosevic sono i terroristi, per gli albanesi del Kosovo è l'esercito di liberazione. Ragazzi, ragazzini. Dal porto di Bari in tre giorni ne sono partiti più di mille. Ora, nella notte di sabato, li guida un giovanotto muscoloso che parla sette lingue, è tutto vestito di nero, i capelli rasati nascosti dal basco con lo stemma giallorosso dell'Uck. «Come mi chiamo? Senza Nome. Con questi ragazzi andiamo ad aiutare le donne e i bambini, i nostri profughi, le vittime di Milosevic. Ma a noi la politica non interessa...». E ride. Nella stazione marittima non c'è più posto, la coda di reclute si allunga sul piazzale. A vederli così, in fila per due, facce stralunate da discoteca, fanno una certa impressione. Bekim Murseli si è comprato zaino e cappellino mimetico in un negozietto di Berlino, altri a Colonia, Zurigo, Vienna. Reclutati dagli uomini dell'Uck. «Parto perché devo», rispondono tutti. E su quel «devo» si fermano. Chi non parte, fa capire Baskim che arriva da Lucerna, se ha fortuna viene emarginato dalla comunità kosovara. «Come minimo non è piacevole, ma penso proprio che tutti quelli che sono qui abbiano scelto di metterei al servizio di una causa giusta: la nostra terra». Chi parte, nonostante le buone parole del comandante Senza Nome, sa che andrà alla guerra. Un campo di addestramento dalle parti di Durazzo e poi risalire verso Nord, al confine del Kosovo, «in attesa di altri ordini». E' notte, nel porto di Bari. In un box, protetti da una vetrata e da una tendina, cinque serbi aspettano l'imbarco per Bar, Montenegro. Guardano i quattrocento in coda per l'imbarco con fastidio del tutto evidente. «Eccoli, e sono già ubriachi...». Uno esce e si mette accanto alla fila delle reclute, è proprio una sfida. Una recluta con berretto mimetico comincia a fissare il serbo, si guardano immobili per almeno un minuto, strizzano occhi e tempie. La recluta in tuta sponsorizzata ha un sorriso di disprezzo, sputa per terra e si rimette in fila. 11 serbo risponde allo sputo e torna nel box. E' stato un attimo, un brutto attimo. All'improvviso le procedure di imbarco accelerano, le quattrocento reclute se ne vanno veloci. Bekim Murseli saluta così: «Spero di tornare. A Berlino lavoro in un bar e mi hanno promesso che non perderò il posto». 1 cinque serbi alle due di notte possono uscire dal box. Le reclute vanno alla guerra in fila per due. Frikkettoni con il compact disk nello zaino mimetico, vestiti di nero come chi è rimasto in discoteca a Berlino e Zurigo, o pieni di birra per vincere la paura. Su quattrocento uno solo ha gli occhiali du vista, ma sulla maglietta blu mostra una scritta rossa: «Cecchino». Costretti a partire, forse. Con una forzata allegria che sembra quella di tutte le reclute. Ma non ò così. I quattrocento, e se non lo sanno lo sapranno presto, vanno al confine del Kosovo, alla guerra, allo scontro con le milizie di Milosevic. A Bari l'Uck ha ufficiali di collegamento che organizzano arrivi ed imbarchi. Il comandante Senza Nome tornerà con il traghetto di domani per un altro carico di reclute. «Arrivano per combattere? - ride lui -. Io non no so niente». E sa di mentire. Milosevic ha chiamato alle armi i ragazzini. L'Uck pure. Partono le reclute dell'odio. Sono appena più che ventenni, arrivano da tutta Europa. Sulla nave che parte dall'Italia ce n'erano quattrocento Molti sono ancora vestiti come se stessero andando in discoteca Li comanda un ufficiale grande e grosso che non vuole dire il suo nome: «Con questi ragazzi andiamo ad aiutare donne e bambini, i nostri profughi, le vittime di Milosevic Ma a noi la politica non interessa» Qui accanto un guerrigliero kosovaro dell'Uck e nella foto grande un soldato serbo al confine tra Jugoslavia e Albania (roto ANSA)