«Lo, zingaro sulla Rolls-Royce»

«Lo, zingaro sulla Rolls-Royce» «Non ho mai sentito il peso del cognome, mi resi conto di chi era mio padre solo dopo che era morto» «Lo, zingaro sulla Rolls-Royce» Christian De Sica: sono le auto la mia mania Alain Elkann CHRISTIAN è difficile chiamarsi De Sica? «Non e mai stato un problema per me. Non ho mai sentito il peso di questo nome. Mio padre nonostante avesse due famiglie, perché aveva una prima moglie e una figlia e poi rne e mio fratello nati dal matrimonio con mia madre, non aveva il coraggio di dircelo. Quando avevo 18 anni mi chiamo mia sorella Emi, che e più grande di me e di Manuel, e mi disse; vogliamo conoscerci? Mio padre era un uomo semplice. Quando io sono nato aveva già 50 anni e i capelli bianchi e quindi non era un padre che con noi giocasse a pallone. Lui voleva semplicemente che noi fossimo i figli di Vittorio, non del grande Vittorio De Sica. Mi resi conto chi era solo dopo che era morto. Capii che cosa aveva fatto per il cinema. Lui era un uomo umile. Per intenderci, non era uomo che entrava nei negozi a comprarsi dei vestiti». Lei quanti anni aveva quando è morto suo padre? «Ne avevo 23 e già lavoravo da anni. In Rai conducevo uno spettacolo di successi che si intitolava "Alle 7 della sera". Pensi che i tosti li scriveva Maurizio Costanzo». Suo padre era contento? «Si, ma era preoccupato. Voleva che mi laureassi in storia dell'arte. Tra parentesi, io ero un bravo studente e prendevo molti 30. Dato che lavoravo mi comperai una Rolls-Royce. Lui non ci sali mai perché si vergognava. Non ò mai andato, per esempio, a ritirare un Oscar, malgrado ne abbia vinti quattro. Da un lato aveva paura dell'aereo ma anche di indispettire, di rendere gelosi i colleglli». Lui però era un giocatore d'azzardo accanito. «Si. Andava a rovinarsi ai tavoli verdi. Abbiamo spesso cercato di interdirlo, ma non fu possibile. Cercavamo di tamponare, di non farlo entrare al casinò». Non vi ha mai fatto mancare niente? «No, per carità. Papa od io ci adoravamo, ci assomigliavamo. Certo, nel mio lavoro all'inizio facevano paragoni tra lui e me. Ma lui era un genio e aveva quarant'anni di mestiere. Una sciocchezza confrontarci». Alla fine lei è diventato lo stesso attore e regista. «Si, sono stato uno dei pochi, ma è cosi, perché ho avuto successo. Ho fatto incassare soldi ai produttori, questa è la cosa più importante, Benno dopo ti danno un calcio e basta. Il pubblico mi ha voluto bene, mentre la critica e la cosiddetta intellighenzia mi ha naturalmente dato addosso. Devo dire che anche mio padre, sebbene avesse fatto "Umberto D" e "Ladri di biciclet¬ te", era un uomo di grande successo popolare e la critica non glielo ha inai perdonato. Il successo dà alla testa a chi non ce l'ha, questa è la verità». Lei tra l'altro è cognato di Carlo Verdone, un altro comico. Che rapporti avete? cCi vogliamo molto bene, ina ci vediamo poco. Io ho sposato sua sorella Silvia, perché ero l'amico del cuore di Carlo e Carlo ha iniziato a fare questo mestiere per me. Abbiamo latto insieme due film, "Borotalco" e "Compagni di scuola". Siamo stati molto amici e poi piano piano ci siamo allontanati. In questo mestiere è difficile mantenere rapporti costanti. Io quando posso sto con i miei figli. Sennò sono in giro come uno zingaro e i rapporti finiscono per sciogliersi. La gente del cinema è per questo che divorzia, si separa, perché non si riesce quasi mai a stare insieme. Io quello che desidero è avere il più possibile appresso i miei fìgb, Brando e Maria Rosa». Lei però è uno zingaro che gira in Rolls-Royce. luna gran risata) «E' un residuo di un'antica agiatezza. Devo dire che ho avuto tante macelline vecchie, ma a Roma giro con il motorino. Ho avuto la mania delle macchine». Quante macchine ha? «Adesso me ne sono rimaste sei, ma ne ho avute anche venti». E che macchine? «Ma per esempio, una Seicento Multipla Fiat di quarant'anni fa nuova di zecca. Però adesso non si possono più avere tante macchine». Con suo fratello che rapporti ha? «Gli stessi che con Carlo Verdone. Lui vive di fronte a casa mia, siamo molto legati, ma non ci frequentiamo». E Benigni? «Roberto è un grande amico. Prima che partisse per l'Oscar, sono stato a casa sua e Nicoletta Braschi mi ha voluto dare la cassetta di un film di mio papà. Roberto e Nicoletta abitano accanto a me, qui all'Aventino. Sono felice che Roberto abbia vinto l'Oscar. Per noi attori comici è una grande vittoria. Si capisce che lui è molto amato in America dagb applausi straordinari simili a quelli ricevuti da Charlot». Lei si sente un comico? «Io sono un attore brillante, ma è il nostro cinema che vuole il comico. Da noi funziona solo la comicità. Ci sarebbero altre storie da raccontare, ma il pubblico vuole il comico. Da noi non c'è né Robert De Niro né Dustin Hoffman. Io che avevo un fisico borghese un po' antipatico ho dovuto mettermi i tappi nel naso e avere l'accento milanese e rendermi credibile come amico di Jerry Cala, di Boldi e di Verdone. Io avevo un contesto aristocratico e mi sono dovuto trasformare in un bovino come loro». Adesso ha un progetto con Abatantuono, se non sbaglio. «Sì, poi uno con Boldi e poi uno co¬ me regista». E' contento della sua carriera? «Sì, molto. Ma ho faticato tantissimo per arrivare e vorrei che il pubblico mi seguisse anche se facessi un film diverso, che mi permetteste di tirar fuori quello che ho dentro». E la televisione? «Ho cominciato con la tv, poi ho fatto tanti show con Antonello Falqui, ma adesso vado in tv solo per promuovere i miei film. Ospite nelle trasmissioni». Cosa pensa della tv? «Quella che ho fatto io era meravigliosa. Pensi che con uno dei miei spettacoli abbiamo raggiunto 28 milioni di telespettatori. Era la televisione di Bemabei, molto diversa da quella raffazzonata di oggi». Un ricordo con suo padre? «Tanti e pochi. Quando è morto a Parigi, ricordo che avevo un vestito blu attaccato alla stampella perché pensavo che sarebbe andato a Montecarlo con me e mamma e poi quasi senza voce abbiamo scherzato sul grande "culo" di un'infermiera che entrava e usciva dalla stanza. Poi mi ha chiesto un whisky col ghiaccio. Ha bevuto ed è morto. Sono rimasti il ghiaccio nel bicchiere e il suo orologio. Ho capito che quando si muore si la¬ scia tutto». Che tipo di padre è lei? «Cerco di fare quello che mio padre non ha fatto con me: rotolarmi per terra nei prati, giocare a pallone. Anche se non bisogna essere amici dei figli. Bisogna essere padri». Ma si diverte ancora? «Sì, vorrei morire giocando con il trenino elettrico, per questo ho tante macchine, i quadri e i dischi. Sono fortunato e cerco di godermi la vita. Non bisogna mai dire, anche nei momenti più negativi, "che noia!". Bisogna essere bravi e godersi la vita. Io mi godevo la vita anche quando non avevo una lira. E poi, guardi, un altro segreto è non prendersi mai troppo sul serio». E lei come si trova nell'Italia di oggi? «Male. E' un Paese alla deriva, diventato troppo volgare. Gli italiani sono gente meravigliosa, intelligente, il Paese è uno dei più belli del mondo gestito malissimo. Io me la prendo con chi gestisce il Paese». Lei andrà a votare? «Non ho mai votato nella mia vita. Prima ero cittadino francese, non mi importava niente, per cui non ho mai votato. Ho nostalgia dell'Italia di mio padre. Un certo tipo di italiano non c'è più. Non ci sono più i veri romani come Paolo Stoppa!». Cerco di fare quello che mio papà non ha fatto con me: rotolarmi nei prati coi miei figli E vorrei morire giocando IJ IJ Coo^.MJfCft. Nom.,.W!B5TIAjNt Hflloil.SGlN^IOmi o.ROMA <mAinomui.)l*UM*A. rosidfrtiia. R.QWA j tf*otwi«.sro!WTO _ j professione ATTORI i hobty..mmm.pmt mmM.\a»Mmm.iKm \ tOUADSliUIlUUSU _J A sinistra: Christian De Sica. Accanto: l'attore in una foto di 30 anni fa, con II fratello Manuel e il padre, Vittorio, morto nel '74

Luoghi citati: America, Italia, Montecarlo, Parigi, Roma