La guerra dei 3500 ebrei jugoslavi

La guerra dei 3500 ebrei jugoslavi L'ANGOSCIA DI ALEKSANDR LEBL; HA VISTO BOMBARDARE TRE VOLTE LA CAPITALE La guerra dei 3500 ebrei jugoslavi «Questa è un'aggressione, come lo fu quella nazista» intervista Fernando Mazzetti inviato a BELGRADO Aleksandr Lebl ha 77 anni, e come tutti i belgradesi della sua generazione ha visto la sua città bombardata due volte: dai nazisti nel '41, e dagli Alleati nel '44 per sloggiarne gli occupanti. Adesso dalla Nato. E' ebreo, e si capisce che è stretto tra l'angoscia per i profughi, nelle cui vicende rivede il proprio passato, e l'indignazione per l'attacco Nato. Un sentimento diffuso nella comunità ebraica, che chiede che si fermino i bombardamenti e si cerchi una soluzione nel rispetto dei diritti delle varie etnie. Giornalista, poliglotta, per anni corrispondente di grandi giornali occidentali, Lebl è uno dei 3500 ebrei jugoslavi, membro del Comitato di presidenza della Federazione delle comunità ebraiche, che senza esitazioni condannano l'attacco Nato. In documenti ufficiali si mette in risalto come ebrei di origine jugoslava abbiano dimostrato in questi giorni a Tel Aviv con striscioni e cartelli: «Il Kosovo è la Gerusalemme serba», «Oggi il Kosovo, domani Gerusalemme». Incontriamo Lebl nella sede della Federazione, in un palazzo Anni Venti, fin da allora «Casa della comunità ebraica», come ancora si legge in alto sul frontone. A quelFepoca nel regno di Jugoslavia vivevano 80 mila ebrei, in gran parte sefarditi, riparati nelle regioni dell'Impero ottomano dopo la cacciata dalla Spagna nel 1492, e il resto askenaziti, provenienti dal dissolto Impero asburgico. Oltre 50 mila di loro finirono nei forni crematori; molti, come tanti stretti pa¬ renti di Lebl, in camere a gas mobili portate qui, davanti a Belgrado, sulle rive della Sa va, fin dove arrivava il confine dello Stato fantoccio di Croazia di Ante Pavelic creato da italiani e tedeschi. Il presidente della Comunità, Aca Singer, sopravvissuto ad Auschwitz, è in questi giorni a Budapest, dove ha accompagnato un gruppo di anziani e di bambini per sottrarli alla guerra. «Su quanto sta accadendo - afferma Lebl - posso parlare a nome della comunità, basandomi sui documenti che abbiamo emesso. Millenni di sofferenza ci danno il diritto morale di appellarci a tutti coloro che possono fare qualcosa per ristabilire la pace di farlo subito, fermando i bombardamenti. Siamo per una soluzione pacifica del problema del Kosovo, con garanzie di piena eguaglianza di tutti i suoi cittadini e tutti i gruppi nazionali, etnici e religiosi, col più alto livello di autonomia, e siamo contro ogni cambiamento di confini con la forza». Leggendo da un comunicato prosegue: «Il 2 aprile, gli attacchi Nato hanno distrutto a Novi Sad il vecchio ponte sul Danubio. Lì vicino 1219 persone, 809 dei quali ebrei, furono uccisi dai nazisti dal 21 al 23 gennaio 1942. Su quel luogo sorge un monumento alle vittime, onorate ad ogni anniversario della strage. Gli ebrei hanno ora deposto una corona sulle rovine del ponte». Parlando fluentemente la nostra lingua, Lebl osserva amaro che gli attacchi aerei partono da basi nel nostro Paese, cosi come nel '41 l'Italia si unì all'aggressione verso la Jugoslavia. «Eppure io mi sono salvato grazie a voi italiani - racconta - sono nato e cresciuto a Belgrado, e alcuni mesi dopo l'invasione nazista riuscii a fuggire munito di docu- menti italiani falsificati. Raggiunsi Spalato, occupata e proclamata provincia italiana, e vi restai un anno campando eh vari lavori. Migliaia di ebrei riparati nella Dalmazia sotto occupazione italiana si salvarono dalle deportazioni naziste e dalle camere a gas. Nel settembre '42 noi ebrei non spalatini fummo deportati dai militari italiani in alcuni villaggi a Sud di Fiume, sul cosiddetto "confine libero", col divieto di non uscire dall'abitato. Solo più tardi capimmo che ci avevano portati lì per proteggerci dai tedeschi. Fummo poi trasferiti a Porto Re, in un campo d'interna¬ mento per civili. Anche cpiesto per proteggerci dagli ustascia di Ante Pavelic e dai nazisti, che reclamavano la nostra consegna. Altro trasferimento sull'isola di Arbe, dove c'era un grande campo di internati civili, ebrei e non. Da qui uscimmo 1*8 settembre '43, e io ini unii ai partigiani». Comunisti? «C'erano solo partigiani comunisti». Si comparano molto, oggi a Belgrado, gli attacchi Nato all'invasione nazista. Cosa pensa? «Ogni aggressione è sbnilare, e questa è un'aggressione. Considero gli Stati Uniti un Paese democratico, ma anche imperialista. Non sentono rischi per il loro sistema e quindi vi è pluralità di voci, critiche al potere. Ma agiscono come superpotenza che vuole creare un nuovo ordine mondiale. E siccome hanno i mezzi, lo fanno, in funzione dei loro interessi». inni o cvi Il leader degli ustasci.i croati Ante Pavelic

Persone citate: Aleksandr Lebl, Ante Pavelic, Fernando Mazzetti, Porto Re, Singer