Troppi scrupoli alla Nato di John Keegan
Troppi scrupoli alla Nato L'ESPERTO MILITARE INGLESE JOHN KEEGAN: SI DOVEVA COLPIRE DURO SIN DALL'INIZIO Troppi scrupoli alla Nato Non c'è stato l'effetto-sorpresa analisi John Keegan UE settimane dopo l'inizio della guerra, è tempo di fare un bilancio. Le guerre hanno i loro ritmi e una delle qualità di un buon comandante è la capacità di giudicare a che punto si trovi nel dispiegarsi degli eventi. Oliamo lontano siamo andati? Quanto più lontano dobbiamo andare? Queste sono le domande che la Nato si sta ponendo ora che la campagna di bombardamenti è nella sua terza settimana. Le operazioni militari sono iniziate troppo lentamente. E' difficile indovinare quale fosse l'obiettivo - se ne possono ipotizzare molti - ma l'inizio è stato tiepido. Sono stati impiegati troppo pochi aeroplani o troppo pochi missili. E troppo pochi bersagli importanti di Milosevic sono stati colpiti. C'era, ovviamente, la necessità di «degradare» le difese aeree serbe ma, attraverso quel modo di procedere, la Nato è partita con un brontolio anziché con un botto. L'elemento sorpresa è andato perso. Non c'è stato shock, né per i serbi né per lo stesso Milosevic. Questo ritmo ha effettivamente abituato i serbi all'idea di essere bombardati ma ha risparmiato loro gli effetti materiali. Nella fase successiva la Nato è passata dagli obiettivi della difesa aerea - aeroporti e radar - che riguardavano poco la popolazione civile, a edifici che anche i civili potevano vedere. In una replica dei primi giorni della Guerra del Golfo, missili da crociera sono stati sparati attraverso le finestre dei centri operativi militari e delle caserme. Ma nel 1999 c'è ormai una tale sofisticazione indotta dalla televisione che questi effetti hanno perso il potere di stupirci. I portavoce della Nato che mostravano i filmati degli attacchi aerei lo facevano con un senso evidente di déjà vu. Sembra improbabile che gli abitanti di Belgrado fossero molto più impressionati. Il passaggio, nella terza fase, agli impianti petrobferi, era di un ordine diverso. La Serbia, per le sue forniture di carburante, dipende totalmente dalle importazioni e la distruzione dei depositi minaccia non solo il sistema distributivo e i servizi essenziali ma anche i trasporti privati. Una penuria di petrolio, in un Paese in larga parte rurale, col¬ pirebbe direttamente la vita quotidiana. Forse ò questa la ragione per cui Milosevic ha annunciato cosi perentoriamente il suo cessate-il-fuoco. D'altra parte, è anche possibile che le dimensioni dell'esodo che i suoi «pulitori etnici» hanno messo in moto nel Kosovo abbia colto di sorpresa anche lui. Alcuni analisti occidentali insistono nel dire che Milosevic ha ottenuto esattamente ciò che voleva. Dicono che un Kosovo svuotato degli albanesi era il suo obiettivo fin dall'inizio e che nell'instabilità che i raid aerei hanno creato negli Stati vicini lui vede una possibilità di mettere nel sacco l'Occidente. Questo è fare di Milosevic un super-machiaveluco, con poteri di manipolazione quasi magici. Sembra francamente irrealistico. La situazione che si sta sviluppando nel Sud dei Balcani va al di là della possibilità, per chiunque, di usarla a suo vantaggio in modo razionale. U rallentamento delle espulsioni dal Kosovo può essere stato ordinato per consentire a Milosevic di riprendere il controllo sugli eventi. Nessuno ha mai accusato Milosevic di mancanza di razionalità. Lui sa benissimo che la Serbia è un Paese piccolo e vulnerabile e che può sostenere la sua indipendenza solo se non spinge i suoi oppositori troppo lontano. Al momento, la Nato sta sfruttando solo una frazione delle sue potenzialità. La forza di at¬ tacco aerea conta meno di cento bombardieri, un decimo di quelli usati nel '91 contro l'Iraq. E' vero che, anche cosi, se insiste, finirà per esaurire i bersagli da bombardare, magari lasciando un Milosevic ancora intransigente. Milosevic sa però benissimo che la sua intransigenza è adesso una grande provocazione, che spinge la Nato a prendere in considerazione opzioni che sono esattamente quelle che lui non vuole affrontare. La prima è il dispiegamento delle truppe di terra. E' vero che un'operazione del genere comporta la soluzione di difficili problemi logistici, ma se Milosevic spinge la Nato a questo, si troverà il modo di risolverli. Al momento è perciò nel suo interesse non distogliere la Nato dalla sua campagna di bombardamenti. E' chiaro che attualmente l'Alleanza preferisce continuare a bombardare e ritiene che, sul lungo periodo, questa strategia avrà effetti decisivi. La guerra sembra perciò stabilizzarsi in una curiosa corsa a tre gambe. Milosevic continua a comportarsi in maniera oltraggiosa, ma non abbastanza da spingere la Nato all'escalation. La Nato, dal canto suo, si è attrezzata per una corsa lunga. La terza gamba, che coniuga la sofferenza dei kosovari con la sensibilità dell'opinione pubblica occidentale, si fa strada a fatica tra le due. Che cosa si può prevedere? In primo luogo, se cresce l'indignazione degli occidentali per Milosevic per ulteriori maltrattamenti dei kosovari, ci potrebbe essere uria richiesta democratica di un'azione decisiva. In secondo luogo, non esiste nessun esempio, in nessun luogo e in nessun tempo, di un risultato militare decisivo che sia stato raggiunto soltanto attraverso le forze aeree. The Daily Telegraph - La Stampa «La forza aerea impiegata conta un decimo dei bombardieri usati nel '91 sull'Iraq» «Se crescerà l'indignazione per i profughi, l'Europa premerà per azioni più decise» Un'esplosione dopo un raid aereo a Pristina, capoluogo del Kosovo
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