Le nuove scuse Nato «Un errore a Pristina» di Francesco Manacorda

Le nuove scuse Nato «Un errore a Pristina» Le nuove scuse Nato «Un errore a Pristina» Francesco Manacorda conispondonto da BRUXELLES «Si, una bomba può aver causato alcuni danni collaterali». Il giorno dopo aver negalo con tutta la sua l'orza elicgli attacchi «chirurgici» Nato avessero distrutto editici civili a Pristina, il portavoce militare dell'Alleanza David Wilby innesta la retromarcia e ammette che durante un'operazione destinala u distruggere la centrale telefonica della città «in un'area a due o trecento metri dall'obiettivo, in quella che appare come una piccola zona residenziale, possono esserci stati danni collaterali». «Ovviamente ci spiaci: per ogni danno involontario o per ogni perdita di vile civili», aggiunge il commodoro Wilhy, ma la lisla di attenuanti che concede alle forze Naio e corpossissima. «Quello attaccato spiega era consideralo un obiettivo fondamentale», porche attraverso la centrale passavano le comunicazioni tra Belgrado e lo forze di sicurezza sorbe. Inoltre, dice Wilhy, dimenticando i civili serbi, «la maggior parte degli albanesi del Kosovo e slata evacuata da Pristina» e i resoconti della stampa «descrivono la città come virtualmente deserta». In ogni caso, «le nostre operazioni non sono slate responsabili dei vasli danni mostrati a Pristina». Una questione che potrebbe riproporsi nei prossimi giorni, dopo l'attacco dell'altra notte alla maggiore fabbrica di automobili serba nella quale, dice Wilby, «la nostra intelligence ci assicura che si fabbricavano macchinari militari». Per il resto i raid degli alleali proseguono, anche se il ritorno del cattivo tempo «frustra» i tentativi di colpire le forze serbe in Kosovo. Ma non i: solo sui danni ai civili che la Nato mette l'«indietro tutta». Giovedì lo stesso Wilby aveva annunciato l'imminenti: attacco alle strutture della televisione serba. Ieri il portavoce politico dell'Alleanza, Jamie Shea, lo ha smentito senza mezzi termini: «Oualsiasi siano i nostri sentimenti verso la tv serba, non prenderemo direttamente di mira i trasmettitori della televisione. In Jugoslavia le stazioni radio militari sono spesso abbinate alle antenne tv. Noi attacchiamo i bersagli militari, se c'è danno ai trasmettitori tv o un effetto secondario, non la nostra intenzione principale». «Questa i: un'organizzazione politico-militare commenta un alto funzionario dell'Alleanza - e sulla tv non c'ò stata nessuna decisione dei politici. I serbi che fanno da scudo umano attorno alla sede della tv di Belgrado possono tornare a casa perchè nessuno proverà a bombardarli». Sollecitato da una domanda, Shea parla anche della posizione di Lamberto Dini espressa l'altro ieri in Lussemburgo, secondo cui il fallimento di Rambouillet non si può imputare del tutto ai serbi. Ma per l'Alleanza queste dichiarazioni non sono il segnale di una divergenza italiana dalla linea Nato. Anzi. «L'appoggio dell'Italia i: solido come la roccia - dice Shea - e senza l'Italia questa operazione non sarebbe possibile. Ma la ragione per cui la trattativa a Parigi è fallita è chiara a tutti: Milutinovic (il presidente serbo, ndr) tornò al tavolo con un documento di 40 pagine, che conteneva un enorme numero di punti sostanziali che,svuotavano completamente gli accordi di Rambouillet». E i codicilli che, secondo Dini, assicuravano il referendum sull'indipendenza ai serbi dopo tre anni e non potevano essere quindi accettati dai serbi? Shea dice di non essere al corrente di nessuna «clausola segreta», ma fuori dalle dichiarazioni ufficiali anche alla Nato si ammette che la «consultazione popolare» prevista negli accordi poteva essere vista come una mezza promessa di indipendenza ai kosovari.

Persone citate: David Wilby, Dini, Jamie Shea, Lamberto Dini, Milutinovic, Wilby