«Hanno dato importanza a false dichiarazioni» di Giovanni Bianconi
«Hanno dato importanza a false dichiarazioni» LA REPLICA DEL SENATORE Al MAGISTRATI DI PALERMO «Hanno dato importanza a false dichiarazioni» personaggio Giovanni Bianconi ROMA PER uno come lui, che ha speso oltre cinquant'anni tra incarichi al governo e in Parlamento, più che la richiesta di tre lustri di galera potrebbe bruciare quella di «interdizione perpetua dai pubblici uffici». E' cosi, senatore Andreotti? «Mah... mi pare che quella scatterebbe dopo il carcere, quindi quando avrò 95 anni. Preferisco prenderlo come un augurio di lunga vita». Fa la battuta ma non sorride, Giulio Andreotti, nell'aula della commissione Esteri del Senato, in attesa che cominci l'audizione del generale Angioni sulla guerra nel Kosovo. Dopo sei anni di «passione», come la chiama lui, l'accusa di mafia brucia ancora, anche oggi che s'è trasformata in una richiesta di condanna, seppur scontata. «Ma c'è la possibilità che tornino indietro e chiedano l'assoluzione?», s'era informato coi suoi difensori alla vigilia della requisitoria. «Presidente, se lo scordi», gli avevano risposto. Andreotti s'era adeguato, non facendosi illusioni, ma ieri mattina alle 8 - dopo la messa quotidiana e lettura dei giornali con le anticipazioni sugli anni di carcere che sarebbero stati chiesti - ha telefonato a Giulia Buongiorno, giovane e battagliera avvocatessa che segue dall'inizio la sua difesa a Palermo e a Perugia: «Hai letto? Forse dovremmo vederci per parlare un po'. Io vado in aula al Senato, chiamami lì». Un paio d'ore più tardi a Palermo il pm Scarpinato concludeva la sua requisitoria definendo Andreotti «uno degli artefici del potere politico-mafioso nella vita istituzionale», e l'avvocatessa Buongiorno telefonava al senatore a vita: «Presidente, gli anni chiesti sono 15». Poco dopo, nello studio di palazzo Giustiniani, Andreotti è a consulto con la Buongiorno e con l'avvocato Franco Coppi. Stanno chiusi fino all'ora di pranzo, ma senza mai parlare dell'entità della pena. «Il problema - spiega Coppi - non è un anno o venti, ma la condanna o l'assoluzione». Il telefono del senatore a vita squilla in continuazione, chiamano gli amici che esprimono solidarietà e i giornalisti che chiedono una reazione. Andreotti, d'accordo con gli avvocati, risponde con un comunicato. «E' molto facile chiedere condanne - c'è scritto - quando da parte del pubblico ministero, con assoluta indifferenza, si ignorano totalmente le prove contrarie che, fondate su documenti e personaggi di un qualche prestigio (sarebbe sufficiente fare i nomi di Francesco Cossiga, di Giuliano Vassalli, di Mino Martinazzoli, tanto per citare i primi che vengono in mente) erano state introdotte dalla difesa nel processo, e si continuano a considerare certi i fatti di cui la difesa aveva dimostrato l'inesistenza, e vere le dichiarazioni di collaboranti di cui era stata dimostrata la falsità. Inutile dire che la richiesta però non ci abbatte, e che essa non provoca certamente sconforti e rassegnazione, quanto piuttosto un accresciuto impegno a contrastare l'accusa e a dimostrarne l'infondatezza». L'arriga dei difensori comincerà a metà maggio, ma i primi passi li hanno mossi ieri mattina, a palazzo Giustiziata. Sul tavolo del «presidente» la copia della lunghissima requisitoria trascritta parola per parola, sottolineata coi pennarelli rosso e blu di Andreotti. «Ecco, qui per esempio - dice il senatore a vita -: questi continuano a parlare dell'incontro con Michele Greco. Ma la testimonianza dell'ingegner Delleani che l'ha smentito con tanta sicurezza non conta niente?». L'avvocatessa Buongiorno prende nota; quando sarà il momento, in aula, ribatterà anche su questo punto. «La verità - spiega l'avvocato Coppi - è che in un processo come questo potremmo difenderci pure con una scrollata di spalle, ma non lo faremo. 1 pm hanno ignorato sistematicamente tutti gli elementi a discarico presentati dalla difesa, noi invece contesteremo punto per punto gli argomenti dell'accusa. Anche perché se ognuno ignora quello dice l'altro diventa inutile fare i processi». Dunque si tornerà a parlare del bacio con Rima, degli incontri nelle tenuti! di caccia con altri boss maliosi, di quello con Frank Coppola «tre dita». «Ma in quel caso - dice ancora Andreotti coi difensori - abbiamo dimostralo che il barbiere che avrebbe dovuto assistere all'incontro era mor- to. Non conta nemmeno questo?». La risposta la darà il tribunale di Palermo, tra un paio di mesi o poco più. Nel frattempo, lunedi, comincerà a Perugia un altro conto alla rovescia, con la requisitoria nel processo per 1 omicidio di Mino Pecorelli, dove Andreotti è accusato di essere il mandante. Il senatori! a vita sfoglia l'agenda e dice: «Se l'osse possibile a Perugia preferirei non ventre, perché lunedi e martedì ho degli incontri importanti sul problema del Kosovo». Gli avvocati lo tranquillizzano, può anche non andare, Ora però incombono altri impegni, una riunione alle 14 e la commissione Esteri alle 15. Poi di nuovo nell'aula di palazzo Madama, alle 16,30. Oliando si presenta in commissione, Andreotti saluta il generale Angioni e i colleghi che vanno in processione a stringergli la mano. Il cronista prova ad insistere con la mafia e i quindici anni di galera, ma «il presidente» e irremovibile nel pensare ad altro: «Mi scusi, devo lavorare...». «E' molto più facile chiedere condanne quando si ignorano totalmente le prove contrarie» tudvpsblosrdmst1lcvmmsma«cqtppd Giulio Andreotti A sinistra, i pm Scarpinato e Lo Forte con il procuratore Caselli
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