IL CAVALIERE HA MILLE ANNI
IL CAVALIERE HA MILLE ANNI IL CAVALIERE HA MILLE ANNI Guerra e onore, amore e fede nel Medioevo OSA voleva dire nel Medioevo, essere cavaliere? La risposta, che al tempo di Walter Scott sarebbe parsa ovvia, s'è invece rivelata sempre più elusiva via via che la storiografia novecentesca affrontava la questione con i suoi stnimenti più affilati, tanto che il dibattito ha rischiato di esaurirsi per disperazione (uno dei suoi protagonisti, lo storico belga Léopold Genicot, nel suo ultimo intervento esordiva dichiarandosi «saturo e disgustato» dall'intera faccenda). E tuttavia, il bel libro di Jean Fiori appena tradotto da Einaudi nella rinnovata Piccola Biblioteca Cavalieri e Cavalleria nel Medioevo mostra che tutto quell'inchiostro non è stato versato invano: oggi è possibile raccontare che cosa è stata la cavalleria medievale in termini che sorprenderebbero non poco Walter Scott. lì punto di partenza scelto da Fiori è la conversione dei Germani al Cristianesimo, con i suoi esiti paradossali: giacché in seguito a quell'incontro non fu l'ancestra- le mentalità germanica a subire le maggiori trasformazioni, ma la religione cristiana. I primi Cristiani prendevano molto sul serio il quinto comandamento, e rifiutavano non solo di uccidere, ma di intraprendere un mestiere come quello debe armi, che fatalmente li avrebbe obbligati a sporcarsi le mani di sangue. Ubila, il vescovo goto che per primo predicò al suo popolo il messaggio di Cristo, dava tanta importanza al pacifismo che nel tradurre la Bibbia in gotico omise addirittura i Libri dei Re, con il loro racconto ininterrotto di guerre e violenze praticate dal popolo di Dio, per paura di incoraggiare le inclinazioni bellicose dei suoi compatrioti. In realtà accadde proprio quello che Ulfila avrebbe voluto evitare: i Germani sposarono con entusiasmo il Dio guerriero e vendicativo dall'Antico Testamento, dimenticandosi del tutto di perdonare le offese e porgere l'altra guancia. E' dalla loro tradizione che la cavai leria medievale ereditò il culto del cavallo e deba spada, considerata oggetto semimagico e dotata addirittura d'un nome (chi non ricorda Excalibur 0 Durlindana?). Ma la vera nascita deba cavalleria si colloca più avanti, intorno al Mibe, neba crisi deb'impero di Carlo Magno; quando il potere si frantumò, cadendo preda di principi e, ancor più, di innumerevoli capetti locali, che lo esercitavano con la forza. Allora i chierici, custodi dell'ideologia, si rassegnarono ad ammettere che chiunque avesse armi e ca vali i e cingesse la spada poteva legittimamente comandare, giudicare e punire 1 contadini inermi, purché lo facesse con timor di Dio e mantenesse l'ordine e la giustizia, come faceva una volta l'imperatore. Nasceva l'ideale, così fortunato fino all'epoca romantica, del cavaliere votato a Dio, amico dei debob, protettore delle vedove e degli orfani: e che altro non era se non un aggiornamento dell'ideo¬ logia proposta dalla Chiesa ai regnanti. Ma nell'ascesa della cavalleria è centrale anche l'aspetto militare, e qui Fiori ci riserva più d'una sorpresa. L'invenzione della staffa, che ha avuto tanta fortuna neba marni olisti ca scolastica, non sarebbe poi così decisiva: il maneggio della lancia alla moda nuova, quella che consideriamo tipica della cavalleria e che si pratica nelle giostre, è sì reso possibile daba staffa, ma non sembra essersi imposto se non molto più tardi, al tempo deba battaglia di Hastings (1066). E' noto che l'equipaggiamento del cavaliere era enormemente costoso, ma se vogliamo capire perché dobbiamo pensare che la fabbricazione d'una spada richiedeva 200 ore di lavoro di un artigiano superspecializzato: è facile immaginare quanto verrebbe a costare al giorno d'oggi. Si è spesso ironizzato sul peso dell'armatura, descrivendo cavaberi così appesantiti da dover essere issati a cavallo con l'argano, ma anche questa è una leggenda: alla fine del Medioevo non superava i 25-30 chili, più o meno come l'equipaggiamento di un paracadutista d'oggi, in compenso, chi immaginava che la lancia, lunga tre metri e mezzo, potesse pesare fino a 18 chili? Decisamente la guerra dei cavaberi era uno sport faticoso, e chi lo praticava doveva allenarsi senza interruzione; ecco un altro buon motivo per cui fu uno sport da ricchi, al punto che la cavalleria finì per identificarsi con la nobiltà, mentre chi combatteva a piedi non era altro, secondo l'espressione fantasiosa d'un cronista, che «merdaUle». Peccato che un libro ben riuscito, di gran lunga il migliore fra i tanti che Fiori ha finora pubblicato, non sia servito adeguatamente daba confezione; e non parlo della veste grafica, di classica eleganza emaudiana. I nomi di luogo rimangono in francese anche quando non sarebbe il caso, sicché abbiamo «Douvres» per Dover, «Aix-la-Chapebe» per Aquisgrana e «Dorylée», che si trova in Asia Minore, per Dorileo. E sarà lecito segnalare ci!'ignaro lettore che più d'una data, nel libro, è sbagliata di cent'anni esatti, da queba dell'arazzo di Bayeux a queba del regno di Enrico li, a causa, evidentemente, di refusi che nessuno sulle bozze ha riconosciuto per tali? Potrà parere una piccolezza, e tuttavia segnaliamolo; può anche darsi che gli editori, a forza di sentirselo ripetere, si decidano a pagare di più la loro manovalanza di traduttori, editors e correttori di bozze, e che dalla fabbrica del libro ricomincino a uscire oggetti confezionati con decoro non soltanto formale. Alessandro Barbero Con la crisi M'impero di Carlo Magno i chierici custodi dell'ideobgia ammisero contro il caos dpotm&auxrikespada Particolare da un dipinto di Paolo I i-cello: il punto dipartenza della all'allerta furono la conversione dei Cernirmi e le prime prediche del vescovo goto l [fila CAVALI ERI E CAVALLERIA NEL MEDIOEVO Jean Fiori Einaudi pp. 290 L. 30.000 li STORIA
Persone citate: Alessandro Barbero, Einaudi, Fiori, Germani, Jean Fiori, Walter Scott
Luoghi citati: Asia Minore, Dover
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