IL MONSONE DEI COURTENEY

IL MONSONE DEI COURTENEY IL MONSONE DEI COURTENEY Al timone un ottimo Wihwr Smith MONSONE Wilbur Smith Longanesi pp. 860 34.000 NESTAMENTE non capita quasi mai che, dopo 860 pagine fitte di personaggi eroici persino nella cattiveria e di un palcoscenico storico ammantato di avvenimenti straordinari, un lettore dotato di un minimo di raziocinio possa essere ancora percorso da una sorta di magone esistenziale alla lettura deba fatidica parola Fine». Eppure il miracolo accade con Monsone, l'ultimo romanzo di Wilbur Smith. L'autore sud africano ( è nato neba Rodhesia del Nord, attuale Zambia, nel 1933 da genitori inglesi) non è nuovo ad imprese del genere. Nella sua penna vorticosa e neUa sua scrittura torrentizia, così simile ad un fiume in piena, ci sono infatti i presupposti per eccitare simili passioni. Per amore di verità, si deve tuttavia sottolineare che non sempre l'esercizio gli riesce. E l'esempio più eclatante è proprio Uccelli da preda, l'avventura che prepara e precede questa. Là, la necessità di riproporre la saga dei Courteney - saltando vorticosamente indietro nei secoli per inventare tra la fine del '500 e gli inizi del '600 una mai descritta origine della dinastia - annegava nell'estenuante e lunghissimo sforzo di mettere in campo i personaggi. Di stabilire rapporti, relazioni, complicità ed inimicizie. Di creare discendenti, a partire dal bisnonno Charles per giungere, attraverso il sir Francis giustiziato dagb olandesi al Capo di Buona Speranza nel 1668, alla generazione attuale: In altre parole: lo scopo era di arrivare al nipote, sir Henry detto Hai, fargli avere tre mogli, quattro figh e la croix pattée debordine di San Giorgio e del Santo Graal. Naturalmente, essendo una storia di raccordo, il racconto aveva nel suo destino i germi deba lentezza, deba ripetizione e deh'improvvisazione con un risultato piuttosto deludente per il pubblico. Monsone gode dunque deba debolezza costituzionale di Uccelda preda. Di cui, quando era ignoto il piano smithiano di uscire immediatamente con il seguito, si era detto; «Mancano i legami di questi Courteney con quelli che li hanno preceduti nella dynasty sudafricana degli otto episodi antecedenti. Sembrano piombare sugli oceani un po' per caso, soprattutto per soddisfare un so¬ gno cavalleresco che mancava dal mercato. Non c'è il respiro deba provvidenza, i personaggi buoni o cattivi - sono tutti piccob uomini, schegge di destino che non sembrano mai fare parte del Grande Disegno. Gb stessi odi e gli stessi amori, i tradimenti, le vendette, le salvazioni hanno un che di meccanico, sono semplici cinghie di trasmissione per la pagina successiva. Difficile sentirsi coinvolti, a meno che questi Courteney, rappresentando solo se stessi, siano un ambiguo caso di omonimia». Ora le cose sono chiare. La «cinghia di trasmissione» ha funzionato egregiamente e Monsone, avendo già attori noti ed affermati in cartebone, può quindi procedere col vento in poppa dopo le sterminate ore di bolina. Il riflettore punta subito, senza incertezze, su Hai e sui suoi quattro figli: il primogenito WUbam soprannominato Black Billy per il colore deba pebe, frutto delle prime nozze con Judith, belbssima principessa etiope uccisa trecento pagine prima. Poi i gemelb, Tom e Guy, avuti daba seconda moglie Margaret, morta di parto. Infine Donan, figlio di Ebzabeth, tragicamente annegata. La convivenza tra i fratelh è una sorta di vento turbinoso: Biby è odioso, crudele, roso soltanto dab'ambizione di mettere la mani sul notevole patrimonio di famiglia. Guy è debole, non ama le armi, eccebe neba musica e nelle arti, non possiede spaile e precordi per sostenere il fato guerriero di famiglia. Tom ed il piccolo Dorian sono invece la progenie nobile ed avventurosa nebe cui mani, e nebe cui imprese, sta il futuro dei Courteney. Sembra strano che, di fronte ad una storia dilatata su un vero mare di pagine, sussista una sorta di ritegno a raccontare più dettagliatamente la trama. Ma è una necessità per non togbere piacere aba lettura. Il punto d'inizio è rimbarco su un vebero deba Compagnia debe Indie, di cui sir Hai è grande azionista, per pulire i mari da uno spietato pirata arabo che fa bottino di navi e di carichi provenienti dab'Oriente. Una vo)t.a a bordo i caratteri peculiari dei fratelh meommeiano a rivelarsi, compreso quebo di Wilbam rimasto in Inghilterra per mandai e avanti la tenuta e le miniere del padre. Rimane solo da sottineare come il continuo rotolare dei destini si dipani così intensamente da non concedere un attimo di respiro, incalzato daba mano straordinariamente febee - questa volta sì - dell'autore che non si risparmia e non ci risparmia nulla: passioni smisurate, amore, odio, sesso, avventura, rapimenti, tortura, adozioni, Islam, cristianesimo, battaghe di terra e di oceano, cannoni, lance, spade, cavalli, cammelli, fughe, arrembaggi, cariche, harem, eunuchi, califfi e sangue. Tanto che, aba fine, la vicenda ha ancora aperti molti interrogativi e molto avvenire. Il che, come si diceva ab'inizio, è l'evento straordinario. Evitando accuratamente, e con molta furbizia, di chiudere del tutto la vicenda, Wilbur Smith ci lascia cioè intrawedere lo scheletro del prossimo romanzo. Ed un ulteriore piccolo passo verso b mibone e mezzo di copie vendute in Itaba. Piero Sorta MONSONE Wilbur Smith Longanesi pp. 860 34.000

Persone citate: Black Billy, Longanesi, Piero Sorta, Smith Monsone Wilbur Smith Longanesi, Wilbur Smith

Luoghi citati: Indie, Inghilterra, Zambia